Il supertestimone sentito per sei ore
ROMA — Parla per oltre sei ore di fronte a pubblici ministeri e finanzieri. Racconta i retroscena di un affare che sta facendo tremare manager e politici. Ma soprattutto svela che cosa accadde al momento di rispondere alle richieste di chiarimenti che arrivavano da Bankitalia. E tanto basta perché si rincorrano le voci su nuovi e clamorosi impulsi all’inchiesta. Perché Valentino Fanti all’interno di Monte dei Paschi di Siena aveva un ruolo chiave. Era il segretario del consiglio di amministrazione della banca, l’uomo che affiancava il presidente Giuseppe Mussari e il direttore generale Antonio Vigni, entrambi adesso indagati per aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza, turbativa e truffa. L’uomo che conosce ogni segreto e retroscena di quanto accaduto negli ultimi sei anni, visto che ricopre lo stesso incarico anche per la nuova dirigenza.
L’indagine entra dunque in una nuova e decisiva fase. Mentre Fanti viene interrogato, il procuratore di Siena Tito Salerno conferma come la situazione sia «esplosiva e incandescente, visto che stiamo parlando del terzo gruppo bancario italiano». Sa bene il capo dell’ufficio che ogni mossa degli inquirenti rischia di provocare un terremoto finanziario e politico anche perché «la società è quotata in Borsa». Sa bene che la situazione «è fluida e complessa» e ci tiene a precisare che la strada per arrivare alla fine degli accertamenti «sarà ancora lunga». Ma già qualcosa potrebbe accadere nelle prossime ore.
Quanto successo ieri sembra dimostrarlo, visto che otto mesi dopo le prime perquisizioni ordinate nel maggio scorso per sequestrare tutti i documenti relativi all’acquisizione di Antonveneta e le comunicazioni con Palazzo Koch, di questo si torna a parlare con Fanti. Nelle mani dei pubblici ministeri ci sono numerosi riscontri all’ipotesi d’accusa e cioè che i vertici di Mps si accordarono con i colleghi del Banco Santander per far gravare sul prezzo di Antonveneta una plusvalenza di almeno due miliardi di euro, poi arrivati a tre con il conteggio degli oneri. E che effettuarono spericolate manovre finanziarie, anche speculative, per cercare poi di ripianare i debiti.
«Molte operazioni sono state effettuate senza informare gli azionisti», avrebbe confermato Fanti entrando nel dettaglio e collaborando nella «lettura» di alcuni documenti. Ma avrebbe soprattutto ribadito la determinazione dei vertici di Mps a presentare a Bankitalia una situazione molto diversa da quella reale. In particolare sull’accordo del 2008 da un miliardo di euro con Jp Morgan fatto passare per aumento di capitale che invece si è rivelato un vero e proprio prestito. Sembra che Fanti fosse già stato ascoltato in precedenza e richiamato adesso che la situazione si è fatta più chiara, al termine dell’esame di tutti i documenti contabili.
Del resto anche lui sarebbe stato subito informato del ritrovamento da parte dell’attuale presidente Alessandro Profumo e dell’amministratore delegato Fabrizio Viola del contratto segreto stipulato nel luglio 2009 tra Mps e Nomura sul «derivato» Alexandria. Fanti ha negato di essere stato messo a conoscenza delle operazioni decise dal vertice, ma non ha potuto smentire il sospetto che all’interno di Mps alcuni manager dell’Area Finanza fossero stati informati di quanto era stato stabilito. E avrebbe confermato che era proprio la struttura guidata da Gianluca Baldassari il «centro nevralgico» di Mps, il luogo dove venivano gestite le operazioni più spericolate. E dove si decideva come e con chi dividere i guadagni di quegli affari che alla fine si sono rivelati disastrosi per la tenuta economica del Monte dei Paschi.
Fiorenza Sarzanini
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