Il salario ha fame ma i prezzi corrono troppo
Mai prima d’ora, spiega l’Istat, era stato registrato un incremento così basso dei salari, almeno sin dall’inizio delle serie storiche (cominciate nel 1983). Il divario tra prezzi e retribuzioni, poi, già il più ampio dal 1995, si allarga ancora se si fa riferimento al cosiddetto «carrello della spesa», ovvero agli acquisti più frequenti, quelli che incidono maggiormente sulle fasce medio basse (che poco concedono al superfluo o al lusso): ebbene, il divario tra carrello e salario è del +4,3%.
Uno dei maggiori responsabili della corsa dei prezzi rispetto all’aumento delle buste paga è il settore del pubblico impiego: con questo non vogliamo dire ovviamente che la responsabilità ricada sui dipendenti di Stato, sanità , istruzione o enti locali. Al contrario, loro sono le principali vittime di quel blocco degli incrementi che fu deciso già dal governo Berlusconi e poi confermato (manco a dirlo) dall’esecutivo Monti. Senza contare che quest’ultimo, nella sua famigerata riforma delle pensioni, ha deciso anche il mancato adeguamento degli assegni pensionistici, poi parzialmente corretto almeno per le fasce meno basse. Sono dunque 3,7 milioni i lavoratori in attesa del rinnovo del proprio contratto, e di questi ben 3 milioni sono i pubblici.
Il tempo che tocca aspettare per vedersi aggiornare l’accordo di lavoro supera i tre anni:: vista la situazione, con un veloce deteriorarsi del potere d’acquisto, non stupisce affatto un altro dato diffuso ieri, anche questo un bel record negativo: la fiducia dei consumatori è calata in gennaio al minimo storico, il valore più basso dall’inizio delle serie storiche, cioè dal gennaio 1996. L’indice, rileva sempre l’Istat, è sceso a 84,6 dall’85,7 registrato nello scorso dicembre.
E non basta. Calcoli «neri» e previsioni fosche arrivano anche da altre fonti, in questo caso da sindacati, associazioni dei consumatori e delle imprese. Secondo il Codacons la forbice tra salari e prezzi nel 2012 sarebbe costata a una famiglia di tre persone una «perdita del potere d’acquisto di 524 euro».
La Coldiretti rileva come il 48% degli italiani pensi che sia diminuita la propria capacità di spesa per il 2013. Mentre la Confederazione italiana agricoltori sottolinea come nei mercati e supermercati si siano ridotti gli acquisti all’osso, con sempre più persone che si buttano per necessità sullo junk food (ovvero, «cibo spazzatura»).
Rimpallo di colpe tra sindacati e partiti. L’ex ministro Maurizio Sacconi, candidato con il Pdl, si getta a testa bassa contro la Cgil: «È colpa della sua politica sindacale egualitaria e centralizzata, imposta a tutti. E Monti, che ora critica la Cgil, ne ha subito i veti riducendo da 6000 a 2500 euro il salario detassabile e rinunciando a difendere l’articolo 8, che oggi la sinistra vuole abrogare con un referendum».
La leader Cgil, Susanna Camusso, punta il dito contro «il blocco dei contratti pubblici». Mentre per il segretario della Cisl Raffaele Bonanni «se nel biennio 1992-1993 ci fu bisogno di un patto sociale per abbattere l’inflazione, oggi occorre un nuovo patto per alzare i salari, tagliare le tasse e rilanciare l’economia».
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