by Sergio Segio | 5 Gennaio 2013 9:13
Le mailing lists facilitano gli scambi di idee e la logistica della mobilitazione. Lo stesso fanno i siti web, che permettono anche una azione di (contro)informazione efficace, sviluppando una logica di rete. Con i media sociali di Web 2.0 si è estesa la capacità dei singoli attivisti e dei cittadini in genere di passare da consumatori a produttori di notizie e pensiero. Facebook, Twitter e blogs – con tutti i loro limiti e le loro differenze – hanno contribuito ad aggregare persone e idee. Non esistono Twitter o Facebook revolutions, ma essi sono strumenti rilevanti di comunicazione e, quindi, mobilitazione.
Gli strumenti di comunicazione e decisione offerti da Internet sono vari, e alcuni di essi di uso rischioso per i movimenti sociali. Il sondaggio telematico è uno di questi. Facile da utilizzare, talvolta pomposamente nobilitato con la definizione di referendum, esso viene sempre più spesso usato da movimenti sociali, partiti o liste elettorali come strumento di decisione considerata come democraticamente legittimata (perché vince la maggioranza) ed efficace (perché di rapida utilizzazione). Un problema particolarmente rilevante per le organizzazioni di movimento sociale è però che la concezione maggioritaria e non partecipata di democrazia che il sondaggio telematico riflette non è coerente con le concezioni di democrazia diffuse fra gli attivisti, rendendo quindi quelle decisioni né legittime né efficaci.
In primo luogo, il sondaggio telematico riflette una concezione di democrazia – maggioritaria appunto – dove chi ha la metà più uno vince, e chi ha la metà meno uno perde. Ma vince e perde cosa? Dato che i movimenti non hanno incentivi materiali da offrire ai loro attivisti, l’impegno è mantenuto solo se e in quanto si è d’accordo su un certo cammino. Viceversa, chi è insoddisfatto dell’esito e del processo, se ne va, e a chi vince resta una scatola (semi)vuota. La storia dei movimenti degli anni settanta è piena di esempi di questo tipo, e proprio dalla consapevolezza di quegli errori i movimenti che sono seguiti – in particolare il movimento per la pace negli anni ottanta – sono partiti per sperimentare diversi processi decisionali. La democrazia del consenso, elaborata nei social forum, si basa su un principio profondamente diverso rispetto a quello maggioritario: l’idea che la democrazia non sta nel contare le preferenze esistenti, ma nel trovare forme e luoghi per dialogare, capirsi, pensare nuove soluzioni. Certamente, la democrazia del consenso non è facile da realizzare: non solo richiede tempo, ma non elimina le fonti di potere di alcuni su altri. Per i movimenti, la ricerca stessa di comprensione reciproca, ascolto, rispetto paga però più del principio della maggioranza vince, in termini sia di legittimità che di efficacia del processo. Il sondaggio telematico è rapido nell’utilizzo, ma ben poco deliberativo, se si intende con deliberazione un processo di condivisione di ragioni e ragionamenti. Tutti si esprimono con un click su un quesito pre-scritto, ma non vengono scambiate proposte, né si costruisce una base di comprensione reciproca. Se la democrazia è comunicazione, il sondaggio telematico tronca quel processo, proclamando vincitori e vinti. Conta preferenze preesistenti, ma non aiuta a formare nuove idee, solidarietà , identità .
Se i limiti di una “democrazia del conteggio” erano già emersi nelle riflessioni autocritiche sulla democrazia assembleare degli anni settanta, il sondaggio telematico – soprattutto se condotto fra sottoscrittori on-line – rappresenta una degenerazione degli stessi strumenti assembleari. Mentre nelle assemblee, con gradi diversi di empatia, ci si conosce e riconosce, nel sondaggio telematico l’autenticità della partecipazione resta opaca. Non solo il click è anonimo e deresponsabilizzante, ma le liste sono facilmente infiltrabili da avversari di vario tipo, o comunque da soggetti collettivi altri, che vogliano farne un uso strumentale, a fini altri. Per attivisti di movimenti sociali, che credono nell’impegno, decisioni prese in pochi secondi – e non si sa da chi – hanno livelli di legittimità decisamente bassi, distruggendo quelle basi di fiducia necessarie alla costruzione di un processo comune di cui i movimenti hanno grande bisogno.
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