Il populismo non si vince così

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Il populismo – e non invece il liberismo e le politiche neo-conservatrici di selvaggia deregolamentazione finanziaria che hanno effettivamente scatenato la crisi globale ed europea – sembra essere il nuovo demone da esorcizzare della politica italiana. Il populismo però è un Giano bifronte: c’è un aspetto dominante del populismo, che è quello di essere autoritario e manipolatorio; ma c’è anche un aspetto positivo che la sinistra dovrebbe cominciare a fare suo: quello di fare leva su reali esigenze popolari per mobilitare le masse. Purtroppo sembra che il centrosinistra sia più propenso a rispettare supinamente i vincoli imposti ai paesi europei dalla Bundesbank per il rapidissimo rientro dal debito pubblico che a promuovere invece un programma popolare efficace contro la disoccupazione dilagante, per la redistribuzione dei redditi – assolutamente necessaria perché la povertà , secondo l’Istat, colpisce ormai un terzo delle famiglie italiane -, e per la difesa intransigente del welfare contro i tagli alla spesa pubblica.
La cancelliera Merkel è stata chiara nella sua recente intervista al Financial Times: la crisi europea durerà  a lungo, e l’Europa dovrà  ridurre drasticamente il welfare e i diritti sociali dei cittadini per essere più competitiva. Di fronte ai proclami della Merkel che vorrebbe fare precipitare l’Europa indietro di un secolo – e purtroppo ci sta anche riuscendo – sembra che i soli a rispondere no a voce alta siano Berlusconi e Grillo: Bersani invece, con la sua consueta onestà  e chiarezza, rassicura costantemente (anche nella sua recente intervista al Wall Street Journal) che tutti gli impegni europei dettati dalla Germania verranno rispettati e non rinegoziati. Il populismo sembra rivoluzionario ma è eversivo: purtroppo però il centrosinistra, senza un programma preciso di riforme popolari – analogo, per intenderci, a quello del New Deal democratico di F. D. Roosevelt – sembra “conservatore”, nel senso letterale del termine. Il centrosinistra, che dovrebbe battersi per le classi popolari e la dignità  e l’autonomia nazionale, appare molto moderato e troppo accondiscendente verso il governo Monti, che in nome degli equilibri finanziari strangola l’economia reale, e verso questa Europa e questa Germania che ci impongono una politica assurda di rigore che perfino l’America di Obama ci rimprovera. Il centrodestra invece – che per vent’anni ha rovinato l’economia italiana, ha difeso elite privilegiate e alimentato la corruzione dilagante – cerca di apparire come un nuovo partito popolare che si batte contro l’Europa contro l’austerità  suicida e la politica delle tasse imposta da Mario Monti. Il rischio, da non sottovalutare per nulla, è che in questa situazione di esasperazione sociale e di confusione politica (con il 50% degli elettori che non sa più bene chi votare) il populismo e il repentino rovesciamento delle parti possano fare recuperare parecchi voti a una destra che sembrava ormai squalificata e ridotta al lumicino.
Ma che cosa è, e come funziona, il populismo? E come la sinistra potrebbe batterlo?
Il populismo è un fenomeno complesso che risulta tuttavia dalla combinazione di alcuni fattori, come:
a) la costruzione di una leadership autoritaria (vedi Berlusconi e Grillo) investita direttamente dal popolo; in questo senso il regime politico preferito è quello presidenzialista o comunque con un esecutivo molto forte e prevalente. Il leader cerca di unificare in sé il massimo del potere a tutti i livelli: potere politico, economico, sull’informazione, sul partito, ecc.
b) le promesse del leader di risolvere i principali problemi del popolo, anche contro le vecchie classi dirigenti: i leader e i loro partiti appaiono spesso come rivoluzionari e anti-sistema in grado di cambiare le cose;
c) il tentativo di realizzare legami diretti, plebiscitari tra il leader e il popolo, saltando ogni altra intermediazione, prima di tutto quella dei partiti e delle istituzioni rappresentative tradizionali, considerate come «arnesi della vecchia politica». Il leader invoca la democrazia diretta nel suo rapporto con il popolo nella forma ultra-limitata di referendum pro o contro la sua persona;
d) il tentativo di utilizzare e monopolizzare i mass media – Berlusconi la tivù, Grillo Internet (però la rete è democratica per natura e si presta poco all’autoritarismo) – considerati come uno strumento insostituibile di rapporto diretto con le masse;
g) la creazione di nemici da abbattere contro cui mobilitarsi con violenza: Berlusconi attacca i comunisti, la Germania e l’euro, Grillo i partiti corrotti, la partitocrazia e l’euro, la Lega gli immigrati e Roma Ladrona, tutti i populisti fanno appello diretto alle masse per combattere i nemici, canalizzando così lo scontento crescente e la violenza latente nella società . Mentre il centrosinistra sembra non avere né nemici né avversari;
e) il tentativo di marginalizzare i poteri e le istituzioni che bilanciano e controllano il potere del leader e dell’esecutivo, creando, se si riesce, norme e leggi di emergenza;
f) l’uso di un linguaggio politico diretto, semplice e per slogan, in modo da raggiungere e colpire emotivamente le masse, specie quelle meno istruite e organizzate.
La politica populista può tentare di cambiare la Costituzione o invece può lasciarla immutata: ma certamente svuota dall’interno ogni forma di democrazia. Tuttavia il successo del populismo non è affatto scontato: infatti le società  avanzate sono molto articolate e molto diversificate anche a livello territoriale, ed è sempre più difficile unificarle sotto un’unica leadership. Inoltre i ceti medi istruiti e il popolo di Internet, a differenza delle classi medie del passato, difficilmente si faranno irretire dal carisma irrazionale dei leader promossi dai mass media. Non a caso Barack Obama è stato eletto proprio con i voti della middle class e con il supporto formidabile di Internet. Il populismo non ha un successo garantito. Ma le proposte politiche più oneste e meno populiste rischiano di naufragare miseramente se impongono ulteriori sacrifici alla popolazione e se non offrono prospettive concrete di miglioramento e di ridistribuzione dei redditi.
È qui che il centrosinistra rischia di rivelarsi del tutto insufficiente anche solo per difendere la democrazia liberale: non ha un chiaro programma popolare sulle tasse e la spesa pubblica, è ancora attaccato all’idea che basti liberalizzare per fare crescere l’economia (le lenzuolate di Bersani), è ecumenico (il punto di riferimento culturale e politico dichiarato da Bersani è l’ecumenico Papa Giovanni XXIII e quello di Nichi Vendola è lo scomparso cardinale Martini) e non vuole identificare nemici e avversari politici, mentre la gente soffre, le fabbriche chiudono, aumenta la disoccupazione e cresce la rabbia della maggioranza delle famiglie che non arrivano alla fine del mese e che non sanno come dare un futuro ai loro figli. In una situazione di crisi gravissima, quando la disoccupazione aumenta e non si vede la fine dal tunnel, non basta il delicato profumo di sinistra invocato da Vendola per vincere la crisi: non basta neppure la politica moderata di un centrosinistra sbilanciato verso il centro. Per superare la crisi occorre un vero programma politico alternativo di sinistra, condiviso e sostenuto con convinzione dalle classi popolari e dai ceti medi. Il candidato premier Bersani finora ha indicato senza incertezze e senza alcuna ambiguità  (vedi la sua illuminante intervista al Wall Street Journal) che proseguirà  sulla linea del rigore di Monti e della Merkel, ma anche … che farà  una politica per il lavoro e per la crescita dell’economia. Tuttavia il Pd non ci fa sapere come combinare miracolosamente l’austerità  con la crescita economica e dell’occupazione! Intanto ha già  votato la (contro)riforma del mercato del lavoro della Fornero e, votando l’obbligo del pareggio di bilancio in Costituzione, ha già  messo fuori legge il maggiore economista del ‘900, John Maynard Keynes, che giustamente indicò come la domanda pubblica e il deficit di bilancio giochino un ruolo decisivo per uscire dalle crisi recessive. Bersani ha giurato al Wall Street Journal, la bibbia della comunità  finanziaria anglosassone e mondiale, che non tornerà  indietro. Inoltre gran parte del suo partito è a favore del semipresidenzialismo alla francese che certamente non renderà  più democratica la nostra Costituzione e il nostro sistema elettorale.
Dietro Bersani si scorge l’ombra di Renzi che ha ottenuto un ottimo successo nelle primarie conquistando il 35% dei voti, e che è schierato apertamente per le nuove politiche liberiste. Vendola, che si è presentato alle primarie per vincerle e diventare premier del centrosinistra, ha conseguito un risultato oggettivamente deludente, il 15% dei voti, e purtroppo non potrà  contare molto. Del resto Bersani ha già  chiarito ufficialmente che, in base agli accordi presi con Vendola, alla Camera le decisioni verranno prese a maggioranza secca, e che quindi i deputati che Sinistra e Libertà  riuscirà  a fare eleggere con l’aiuto del Pd conteranno ben poco. Non si può certamente accusare Bersani di non essere chiaro – anche se sembra che molti a sinistra non vogliano comprendere le sue parole -: il candidato premier del centrosinistra ha già  dichiarato apertamente che si alleerà  con i centristi e possibilmente con lo stesso Monti per garantire ai partner europei e ai mercati finanziari che i patti sottoscritti da Berlusconi prima e da Monti poi verranno tutti rispettati. In questo contesto sarà  purtroppo molto difficile che un eventuale prossimo governo di centrosinistra ci faccia uscire dalla crisi. Il fatto più eclatante della politica italiana è l’assenza di una vera e autonoma forza politica di sinistra che indichi chiaramente le (difficili, ma non impossibili) strade di fuoriuscita dalla triplice gravissima crisi: economica, democratica ed ecologica, e che proponga un convincente programma popolare. I numeri per promuovere una politica alternativa ci sarebbero: i referendum sull’acqua pubblica, contro il nucleare e contro l’impunità  di Berlusconi hanno mostrato che in Italia il popolo democratico potenzialmente schierato a sinistra c’è ed è maggioritario. Ma la tragedia è che manca un ceto politico di sinistra all’altezza. Vedremo che cosa accadrà  con il quarto polo.
 La sinistra radicale non ha però ancora un programma chiaro che parli alla mente e al cuore di milioni di persone, e rischia di nascere fuori tempo massimo. La necessità  di una nuova sinistra popolare è indubbia, ma il ritardo accumulato con i settarismi e i distinguo minoritari è difficile da colmare. Occorrerebbe correre velocemente, ed essere molto chiari e incisivi. E imparare qualcosa anche dai populisti per vincere il populismo.


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