Il Monte Paschi diventa un caso politico
MILANO — Adesso Siena fa davvero paura. La scoperta di Alexandria, un complicatissimo derivato finanziario nascosto tra le pieghe del bilancio del Monte dei Paschi, ha scatenato una sorta di fobia. Ieri mattina, quando Piazza Affari ha aperto i battenti, gli ordini di vendita per le azioni Mps erano ingestibili, tanto che il titolo non è riuscito a fare prezzo e quando è entrato in negoziazione ha iniziato a scendere fermandosi a -8,43%, con il 5% del capitale scambiato.
Le dimissioni dalla presidenza dell’Abi di Giuseppe Mussari, all’epoca dei fatti numero uno a Rocca Salimbeni, hanno amplificato i timori del mercato che ora teme nuove sorprese da Siena. Ieri sera il presidente della banca, Alessandro Profumo è intervenuto al Tg1 per rassicurare gli investitori. «Con il lavoro che stiamo facendo torneremo ad avere la reputazione che ci meritiamo» ha affermato. «La situazione di Mps — per il banchiere — richiede un profondo ripensamento e direi quasi la rifondazione del rapporto tra Monte e la città » di Siena. Anche l’amministratore delegato della banca, Fabrizio Viola, è intervenuto per fare chiarezza, spiegando che non c’è nulla da temere. Nè una nazionalizzazione del Monte nè una scalata. Quelle emerse, ha precisato, sono «operazioni complesse con strutture contrattuali complesse» di cui in effetti né Banca d’Italia né Consob erano a conoscenza. Altri rischi al momento Viola non ne vede. I sindacati, che per accompagnare il salvataggio di Mps hanno accettato non pochi sacrifici, ieri hanno chiesto un incontro urgente ai vertici di Mps. Il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni ha parlato di «molteplici responsabilità , attribuibili sia alla politica nazionale sia a quella locale» per il dissesto del Monte.
Ma Alexandria è solo una parte del problema. Sul dissesto del Monte si sta infatti consumando una guerra che con i bilanci in realtà non ha molto a che fare ma che dai disastri di Mps prende spunto per regolare i conti. E’ una guerra tutta politica. Così come quelle bolognesi sono «cooperative rosse» il Monte era la «banca rossa». Una storica roccaforte della sinistra. E nel pieno della campagna elettorale il collegamento è scattato in un attimo. Visto che i soldi per il salvataggio, 3,9 miliardi di “Monti bond”, sono stati stanziati dal governo in carica, nel mirino sono finiti Pierluigi Bersani e Mario Monti. «Monti e Bersani subito in Parlamento per spiegare i favori a Mps e le responsabilità del Pd nella disastrosa gestione della banca» ha scritto su Twitter il leader della Lega, Roberto Maroni, a cui hanno fatto eco Maurizio Gasparri, Giorgia Meloni, Ignazio La Russa, Francesco Storace. Il segretario del Pd non ci sta però a essere tirato dentro. «Non c’è nessuna responsabilità del Pd, per l’amor di Dio…» ha risposto Bersani, perché «il Pd fa il Pd e le banche fanno le banche». Gli attacchi sono arrivati anche da sinistra. «Il vero scandalo — per il segretario di Rifondazione, Paolo Ferrero — è che il governo ha regalato al Monte dei Paschi 3,9 miliardi. Ha usato i soldi degli italiani che pagano le tasse per coprire i buchi di una banca privata». «L’ammontare dei Monti Bond è equivalente alla prima rata versata dai contribuenti per l’Imu» ha ricordato il leader idv Antonio Di Pietro. Un parallelo molto pericoloso. Senza quei soldi Siena non sta in piedi e la fronda che vorrebbe bloccare i Monti Bond sta crescendo.
Così come sta crescendo la spinta per promuovere un’azione di responsabilità nei confronti di Mussari e dei manager che nel 2009 gestivano Rocca Salimbeni. Visto da Siena è anche un modo per regolare i conti. «C’è la responsabilità di chi ha governato la città », ha dichiarato il sindaco di Firenze, Matteo Renzi. La Fondazione Montepaschi, il cui presidente (ex Margherita) Gabriello Mancini da primo azionista non ha mai fatto mancare il sostegno a Mussari, ieri ha detto che sta valutando insieme alla banca un’azione di responsabilità .
Federico De Rosa
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