Il grillino dissidente tentato da Ingroia

by Sergio Segio | 6 Gennaio 2013 8:46

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La voce circola da giorni, ma stavolta la conferma c’è, anche ancora se rigorosamente off the record. Il grillino dissidente Giovanni Favia sarebbe interessato alla «rivoluzione civile» di Antonio Ingroia. Persino tentato. Arruolare il consigliere regionale emiliano cacciato a dicembre dal Movimento 5 stelle, per il magistrato palermitano sarebbe un colpaccio: tanto sul piano dei voti da sfilare a Grillo, quanto per rispondere a chi – come i «professori» di Cambiare si può – lo accusa di dare troppo spazio ai partiti della sua cabina di regia, composta dai sindaci De Magistris e Orlando ma anche il quartetto dei segretari Di Pietro-Diliberto-Ferrero-Bonelli. Sarebbe perfetto: proprio ora che Alba, l’alleanza lavoro beni comuni a epicentro fiorentino che aveva aderito a «Cambiare», fa partire in rete, una nuova apertura di credito nei confronti della «rivoluzione civile».
Così dunque si spiegano meglio le due consecutive offerte pubbliche di dialogo del candidato premier arancione nei confronti di Beppe Grillo, la scorsa settimana, nonostante le altrettante e tempestive – e pure ruvide – chiusure del comico genovese. Chiusure comprensibili: il Movimento 5 stelle è dato in picchiata nei sondaggi. E il suo elettore in fuga ha negli arancioni di Ingroia e De Magistris un approdo quasi naturale: a patto che i leader dei partiti non si vedano troppo, dietro l e spalle del magistrato.
E non è detto che l’operazione Favia non sia un «pacchetto» che comprende anche Federica Salsi, la consigliera comunale di Bologna cacciata dalle 5 stelle insieme a lui, entrambi per aver partecipato a un talk show contravvenendo alla disciplina Grillo-Casaleggio.
Grillo, bisogna dirlo, se lo sentiva. Oppure conosce bene i suoi. Perché proprio al momento dell’espulsione dei due dissidenti aveva lanciato loro un anatema. Che alla fine si rivelerebbe una previsione: «Mi dovrebbero ringraziare: sono tutti i giorni in tv a dire che sono antidemocratico. Magari andranno con gli arancioni e io gli darò una mano». Se non fosse stato espulso, Favia comunque non sarebbe stato candidato in parlamento: intanto perché Grillo non candida chi ha un incarico istituzionale in corso; e poi perché nel suo movimento, ha spiegato, «ci sono quattro regole, se non le rispetti sei fuori. Una è che si devono fare massimo due legislature». Dove per legislature si intende un po’ la qualunque: anche il precedente incarico di consigliere comunale ricoperto da Favia.
Fatto sta che domani Ingroia, dopo l’ultimo caffé guatemalteco annunciato ieri su twitter, tornerà  definitivamente a Roma. Martedì inizieranno le trattative con la «cabina di regia» per le liste. Ma fra i primi impegni della sua agenda c’è proprio quello di vedere Favia. Per il momento dunque solo bocche cucite. Dalla parte degli ex grillini, Valentino Tavolazzi, primo espulso dal leader e amico di Favia, giura di non saperne niente. Da quest’altra parte, a casa arancione, l’assessore ai beni comuni di Napoli Alberto Lucarelli (anche lui in pole position per la lista Ingroia), non conferma. Ma auspica, e parecchio: «Favia con noi? Me lo auguro. Del resto con le 5 stelle condividiamo moltissime battaglie sui territori. Nella mia città  abbiamo rapporti intensi fin dall’epoca in cui De Magistris si candidò alle europee».
Il verdetto arriverà  nelle prossime ore. Per martedì anche i quattro partiti si preparano a combattere sulle liste. Ieri si è riunito il comitato politico di Rifondazione, il parlamento del partito, che ha dato mandato alla direzione e alla segreteria di scegliere i papabili «di prima e seconda fascia», e cioè gli eletti sicuri e quelli che dipendono dall’affermazione della lista. I nomi ufficiali non ci sono, ma è probabile che nella quota del partito ci siano i vertici (il segretario Paolo Ferrero, il numero due Claudio Grassi, Rosa Rinaldi, Roberta Fantozzi e Augusto Rocchi), forse con qualche aggiunta sul coté culturale.
Sempreché tutto fili liscio, politicamente parlando. Ieri Di Pietro, annunciando che non si candiderà  capolista (del resto nessun leader di partito lo farà  per richiesta di Ingroia) ha lanciato l’ennesima offerta di collaborazione a Bersani: «Mi auguro che il Pd abbia un ripensamento per fare squadra». E se quella di Di Pietro è la solita tattica dello stop and go (nella dichiarazione successiva ha dato del bugiardo a Bersani), i verdi – che ieri hanno riunito il loro consiglio federale – invece lo dicono sul serio: «Una forte affermazione al senato della lista Ingroia è il vero voto utile per scongiurare alleanze dannose come quelle fra il Pd, Sel e Monti in caso di un risultato incerto». Insomma, il Pd si potrebbe alleare con loro. Che non è precisamente quello che dice il programma del Prc.

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