IL FUTURO DIMENTICATO
Non c’è altro paese in cui il rischio di perdere o di non trovare il lavoro sia così fortemente concentrato sui giovani. E abbiamo anche il record nella percentuale di giovani che non lavorano e non studiano al tempo stesso, avendo abbandonato troppo presto il corso di studi ed essendosi scoraggiati nel cercare un lavoro che per loro, poco istruiti, proprio non c’è.
Un paese che non pensa ai giovani si condanna al declino. Un paese altamente indebitato come il nostro che non investe sui giovani commette un vero e proprio suicidio. Eppure in questa campagna elettorale di loro proprio non si parla. Si parla di nomi, di liste, listini e simboli vari, o si promettono rivoluzioni dal Guatemala. Ma nessuna proposta concreta, nessuna idea su cose da fare. Nel vuoto dei programmi c’è un vuoto ancora più forte di proposte per il problema del lavoro fra i giovani. La riforma Fornero sta perdendo pezzi ancora prima di entrare completamente in vigore e l’agenda Monti non sembra imparare dagli errori. Quella Bersani, ammesso che di agenda si tratti, dichiara di non voler tornare sul problema, forse per evitare di aprire divisioni laceranti al proprio interno. In effetti, non è facile conciliare le posizioni di Giampaolo Galli con quelle di Stefano Fassina sulla riforma del lavoro. La nuova coalizione tra Pdl e Lega chiede di bloccare il 75 per cento del gettito raccolto nelle regioni del Nord. Quindi ha deciso che al Sud non ci devono proprio essere le scuole. Altro che uguaglianza delle opportunità ! A chi ha la sfortuna di nascere
a Caltanisetta o a Nuoro non si vuole offrire proprio alcuna opportunità .
Quello dell’istruzione è in effetti il nodo cruciale. I paesi in cui la disoccupazione giovanile è più bassa, sia in termini assoluti che relativamente alle altre fasce di età , sono quelli in cui si è creato un facile canale di passaggio dalla scuola al lavoro. In Austria e Germania esiste una formazione universitaria professionalizzante in grado di creare quelle competenze intermedie oggi altamente domandate dalle imprese. Da noi un percorso di questo tipo, con compresenza nelle aule universitarie e sui posti di lavoro, potrebbe offrire una valida alternativa agli attuali trienni e dare un senso alle troppe sedi universitarie. Potrebbero organizzare questi corsi giovandosi di un legame capillare con le imprese sul territorio. Si parla di Francesco Profumo come possibile candidato. Ma cosa ha fatto da ministro per affrontare il calo delle immatricolazioni nelle università ? E cosa propongono i partiti per ridurre il gap nella qualità dell’istruzione e nella qualità dei docenti fra le diverse regioni italiane? Al Sud i punteggi degli studenti nei test attitudinali sono nettamente più bassi che altrove. Le stesse differenze ci sono nella percentuale di insegnanti che sono passati al concorsone.
C’è chi continua a pensare che il problema del lavoro tra i giovani sia legato al fatto che si va in pensione più tardi. Ma in Italia la disoccupazione giovanile è aumentata quando si andava in pensione sempre prima ed è stata sempre più alta che nei paesi in cui sono tantissimi i 65enni che lavorano. Ricordiamoci
anche che stanno scappando gli immigrati. Il censimento ci ha fatto scoprire che ci sono in Italia 800 mila immigrati in meno di quelli presenti nell’anagrafe. Se ne sono andati silenziosamente mentre l’allora ministro dell’Interno, oggi aspirante governatore della Lombardia, paventava sbarchi di milioni sulle coste siciliane. I dati del suo ex-ministero confermano che gli arrivi sono diminuiti nell’ultimo anno del 40 per cento, abbiamo 100 mila immigrati in meno di quelli che arrivavano normalmente. Mentre abbiamo 120 mila giovani disoccupati in più. Se non c’è lavoro per i giovani non è certo perché c’è un numero fisso di posti e questi vanno ad altri.
Il vero problema è che continua, pur con salari bassi e in diminuzione, ad aumentare il costo del lavoro in Italia. Succede questo perché sono le tasse a farlo aumentare. Le entrate fiscali stanno crescendo del 3,8 per cento mentre il reddito generato in Italia continua a calare. La pressione fiscale sotto Berlusconi e Monti è aumentata di quasi quattro punti di Pil. E continua a gravare in modo sproporzionato sul lavoro. Come si fa in queste condizioni a creare lavoro? Chi oggi propone di abolire la tassa sulla prima casa ha scelto di distruggere centinaia di migliaia, se non milioni, di posti di lavoro. Quella tassa va resa più equa, come avevamo proposto a suo tempo su queste colonne utilizzando i dati dell’agenzia del territorio che permettono di allineare la base fiscale ai valori di mercato, ma non certo rendendo il nostro paese l’unico a non avere una tassa sulla prima casa.
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