Il convitato di pietra
Dentro il Palalottomatica, infatti, sembrava che tutti i sorrisi, gli abbracci, i complimenti tra cigiellini, piddini e sellini facessero i conti con un unico possibile scenario: che Bersani e Vendola possano vincere le elezioni e avere una maggioranza autonoma per governare. Realizzando così la loro Carta di intenti e magari anche il Piano del Lavoro Cgil: senza alcun ostacolo, o quasi. D’altronde, come accadeva nella favola della Bella addormentata nel bosco, ben due fate della discordia non sono state invitate: Monti, appunto, e l’altro «cattivone», il sinistro Ingroia. Giochiamo solo in casa, insomma, che vogliono questi altri? Al vertice si fa finta di non conoscere, quello che purtroppo alla base è più che noto: non è affatto escluso – ce lo dicono le cronache ogni giorno – che al governo ci si debba andare con la «bestia nera», il professor Monti. E altro che: la sua «agenda», allora, conterà eccome. E proprio il tema del lavoro, a quel punto, potrebbe «sbancare», rompendo l’alleanza Cgil-Fiom-Pd-Sel. Ma meglio non fasciarsi la testa prima di rompersela.
E allora ecco il piano Cgil, che di per sé sicuramente ha delle proposte interessanti, alcune anche parecchio più avanzate di quelle del Pd, come nel caso di una seria patrimoniale sui più ricchi, che sostituisca l’Imu imposta iniquamente ai redditi medio-bassi. Dall’altro lato, il Piano è un po’ limitato su quello che invece sarebbe un passo avanti che finalmente il sindacato dovrebbe fare: un salario minimo deciso per legge, visto che milioni di persone sono ormai fuori dai contratti nazionali e che non c’è proprio modo di farceli rientrare, per quanto il trio Camusso-Bonanni-Angeletti si danni. Un nodo, questo, che il leader della Fiom Landini, sul tema già più moderno ed «europeo», non a caso ha fatto notare.
Camusso è partita affermando che «il lavoro è pane e dignità ». Sottolineando che «la crisi si batte solo se si difende e qualifica il lavoro: e non un lavoro qualunque, ma un lavoro dignitoso, contrattualizzato e tutelato». Per la Cgil bisogna abbandonare «l’epoca dei tagli e dell’ossessione del rigore e del debito, comprendendo anzi che il debito si batte solo se si crea la crescita». Il Piano per il lavoro, analogo a quello lanciato da Di Vittorio nel dopoguerra, guarda sia al pubblico che al privato, e anzi si basa parecchio sull’intervento pubblico: politica industriale, investimenti verdi, riqualificazione e bonifica di scuole, siti inquinati e periferie. Inoltre, contro le accuse di parteggiare troppo per l’asse Pd-Sel, Camusso tiene a sottolineare che qualsiasi governo futuro sarà «parte» e non «partner» del sindacato: che insomma si resta autonomi.
Il piano costerebbe 50 miliardi di euro, che si dovrebbero reperire con una lotta decisa all’evasione fiscale, un’imposta sulle grandi ricchezze e innalzando quella sulle rendite finanziarie (si impedirebbe così di innalzare l’Iva); una tassa ambientale, «chi inquina paga», su un modello già della Ue. E poi: investendo i fondi pensione in opere pubbliche anziché nella finanza; usando meglio i fondi europei; rilanciando la Cassa depositi e prestiti, che in Francia e Germania è volano di crescita; scorporando gli investimenti per lo sviluppo dal conteggio del patto di stabilità .
Sul fronte più specifico del lavoro, una delle prime urgenze sarebbe quella di una legge sulla rappresentanza, «che le parti sociali – dice Camusso – stanno già discutendo a partire dall’accordo del 28 giugno 2011». Il ritorno alla centralità del contratto per i dipendenti pubblici e la stabilizzazione dei precari. La cancellazione dell’articolo 8 (deroghe anche sull’articolo 18) e dell’articolo 9 (discriminazione dei disabili) dell’ultima finanziaria di Berlusconi. Rimettendo mano alla Riforma Fornero, che ha indebolito l’articolo 18 e causato il travaso dei precari dai cocoprò alle partite Iva.
Quali risultati porterebbe il Piano? Secondo il Cer (Centro Europa Ricerche), il big pushimpresso da queste proposte porterebbe, da qui al 2015, una crescita del Pil del 3,1%; +2.9% di nuova occupazione e il ritorno al tasso di disoccupazione ai livelli pre-crisi (7%); +10,3% di investimenti; +3,4% di reddito disponibile e +2,2% di consumi delle famiglie; +1,8% di export. Insomma, grandi risultati. Monti permettendo.
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