by Sergio Segio | 18 Gennaio 2013 6:31
Ribadire in termini inutilmente crudi che le liste personali fanno male all’Italia, significa attaccare il Cavaliere e insieme il presidente del Consiglio. Il Pd è convinto che, magari per errore e non per calcolo, i centristi stiano regalando la Lombardia a Pdl e Lega: e non soltanto a livello regionale ma nel voto per il Senato, che frustrerebbe la prospettiva di una maggioranza di centrosinistra in quel ramo del Parlamento.
D’altronde, per legittimarsi presso l’elettorato non può che marcare quasi d’ufficio le distanze da quanto ha fatto il governo dei tecnici: al di là di tutte le ipotesi di un accordo postelettorale. Ieri si è registrato un episodio significativo, a conferma di questa sensazione. Sono bastate alcune battute di Susanna Camusso, segretario della Cgil, per mandare in cortocircuito la campagna elettorale: almeno per una manciata di ore. «Non possiamo dire che se stiamo messi così è per colpa dei tredici mesi del governo Monti», ha detto. «È perché ci sono stati anni di governi di destra che hanno negato la crisi». La leader sindacale ha ricevuto in risposta lo stupore compiaciuto della lista del premier: al punto che il portavoce della Camusso ha voluto correggere il tiro, e precisare che Monti la crisi «non l’ha causata ma di certo l’ha aggravata».
È come se lo schema bipolare impedisse di analizzare con freddezza quanto è successo in questi mesi; e schiacciasse tutte le analisi sull’esigenza di prendere voti e di delegittimare l’operazione che Monti ed i suoi alleati stanno tentando: sebbene con un affanno evidente dimostrato dalle sbavature nella composizione delle liste. Così, da una parte palazzo Chigi cerca di accreditare l’immagine di un premier che continua a parlare con tutti i leader della sua ex maggioranza. Dall’altra deve adattarsi al ruolo di parte, e rassegnarsi ad essere attaccato sia da sinistra che da destra.
Pdl e Lega sono i suoi bersagli più frequenti, e i suoi accusatori più irriducibili. Monti non perde occasione per additare gli errori e le promesse non mantenute del governo Berlusconi, e dunque l’eredità pesante lasciata all’Italia; né per esprimere la sua preoccupazione per l’impatto che una vittoria dell’«asse del Nord» con il Carroccio avrebbe a livello non solo nazionale ma internazionale: tanto più se i leghisti guidassero tutte le regioni principali sopra il Po. La reazione sono le bordate dell’ex ministro all’Economia, Giulio Tremonti, passato dai contrasti aspri con Berlusconi di un anno e mezzo fa, alle accuse contro un Monti «tedesco»; e il tentativo di utilizzare la stampa estera che ha sempre appoggiato Monti e ridicolizzato Berlusconi, per colpire il premier uscente e i provvedimenti presi dalla sua maggioranza anomala.
Così il segretario del Pdl, Angelino Alfano, cita il Financial Times per portare acqua al mulino della tesi secondo la quale Monti è il responsabile della recessione italiana. E questo mentre, a suo modo, Berlusconi cerca di ripristinare una sponda col Vaticano e una Chiesa prive di referenti politici privilegiati. «Ci sarà da sorridere», ironizza il Cavaliere, «quando le componenti cattoliche si troveranno a dovere fare i conti con il programma del Pd e di Sel, con più tasse, la patrimoniale, con l’aumento dell’Iva, con i matrimoni gay». Eppure sa che i vescovi italiani staranno più attenti che mai ad appoggiare uno schieramento. E nei confronti di Berlusconi, più che del suo partito, il giudizio negativo appare ormai radicato.
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