I tormenti dell’Elettore Democratico
Finora la campagna elettorale è stata un gioco a nascondino collettivo. Nascosti i candidati, anzi, inesistenti, introvabili: i tabelloni per i manifesti sono intonsi (per fortuna, si potrebbe dire), le piazze sono deserte (fa freddo, si dirà ), i teatri riempiti a malapena da militanti arruolati per occupare i posti, si muovono in tv i quattro-cinque leader, vanno sul sicuro, giocano in casa (Bersani va alla Cgil, Monti alla fondazione Serbelloni, Berlusconi dalla D’Urso). Nascoste le responsabilità di chi ci ha portato fin qui: vedi il Cavaliere vestito a nuovo, o meglio a vecchio. Nascosti, soprattutto, i progetti di chi si candida a governare il Paese nei prossimi cinque anni: spariti, e meno male, i programmi di trecento pagine, c’è un gran sventolare di agende e di carte di intenti, spot su cui tutti possono essere d’accordo e poco o più.
In questa situazione sorprende fino a un certo punto il dato rilevato da Roberto Weber della Swg per la trasmissione “Agorà ”: la crescita degli elettori indecisi. Solitamente, con l’avvicinarsi del voto, le convizioni si consolidano, simpatie e antipatie si radicalizzano, prende corpo la Scelta. In questa campagna elettorale sta accadendo il contrario: aumenta la confusione, più vanno in tv i candidati capi-coalizione (così li definisce il Porcellum), più aumenta il numero dei competitori in campo, più si infittisce la nebbia. E, a quattro settimane dal voto, più indeciso di altri è l’Elettore Democratico.
Non mi riferisco, sia chiaro, all’elettore che vota per il principale partito della sinistra sempre e comunque, chiunque sia il leader, qualunque siano il nome e il simbolo. Lo zoccolo duro, quella che Bersani chiama orgogliosamente il collettivo, la «comunità di donne e uomini», la Ditta. Politologi e sondaggisti la quantificano intorno al 25-30 per cento, sono le percentuali di sempre, invariate da decenni. Questi numeri salgono e arrivano intorno al 33-34 per cento quando all’elettore di appartenenza si aggiunge l’elettore di opinione, che si sente di sinistra ma non per questo è disposto a votare qualsiasi cosa si proclami di sinistra. L’Elettore Democratico, appunto. Un bel rompicoglioni, specie quando assume le sembianze dell’insegnante democratica immortalata da Edmondo Berselli. Oggi è soprattutto disorientato, come rivelano le ultime ricerche: Paolo Natale su “Europa” segnala per il Pd un’erosione del consenso di uno-due punti provocata dal caso Mps, ma non solo. In quale direzione, però, non si sa. E questo spiega perché, a quattro settimane del voto, l’Elettore Democratico si sia trasformato in una terra di conquista, oggetto di contesa. Nell’attesa di diventare soggetto di scelta.
L’Elettore Democratico, in primo luogo, guarda al Pd o, in alternativa, all’alleato Sel di Nichi Vendola. Si è molto appassionato alle primarie tra Bersani e Renzi, ha apprezzato il rinnovamento delle liste, con l’inserimento di giovani under 35 e di tante donne. Teme però che alla rotazione delle facce non corrisponda un mutamento delle parole. Finora Bersani ha ripetuto, meritoriamente, che la sua campagna ruota su due termini: moralità e lavoro. Come una maledizione, però, la questione morale torna ad abbattersi sul partitone e sui suoi legami pericolosi con le banche e con la finanza rossa: successe già nel 2005, all’epoca dell’affare Unipol-Bnl, per cui sono stati condannati Giovanni Consorte e Ivano Sacchetti, capita ora con Mussari e con il Monte dei Paschi di Siena che si schierarono sul fronte opposto. Quanto al lavoro, l’Elettore Democratico aspetta ancora di capire quali sono nel concreto le proposte del Pd. Finora si è sentito parlare di rimodulazione (dell’Imu), di fare la sintesi (tra radicalismo e riformismo, tra Tabacci e Vendola), di tenere insieme innovazione e coesione… Insomma, l’Italia giusta di Bersani è un bel titolo, l’Elettore Democratico gradisce, ma teme che la giustizia bersaniana si trasformi in un idealtypus weberiano, un concetto dato una volta per sempre, pietrificato, senza contatto con la realtà . Che invece richiede un cambiamento radicale, non una nobile conservazione del proprio perimetro, come sembrava fare l’altra sera in tv la candidata alla Camera Anna Ascani, che è nata nel 1987 e parlava come una militante degli anni Cinquanta. Consiglio per (ri)conquistare l’elettore democratico indeciso: non sbranare ma muoversi. E meno arroganza, meno diversità sbandierata, tipo noi siamo il bene gli altri il male, perché di diversità berlingueriana ne è rimasta pochina.
L’Elettore Democratico osserva poi con curiosità le mosse del premier Monti. Si ritrae un po’ schifato quando legge i nomi di certi candidati, i rampolli democristiani e i ras delle preferenze che infittiscono le liste di Casini nel centro-sud, non sopporta che Fini confonda in tv Krugman con Keynes, è un elettore nato e cresciuto con il bipolarismo, allergico per definizione ai grandi e piccoli centri, specie se di derivazione ecclesiastica, brodo di coltura di ogni doroteismo e di ogni palude, il contrario dell’innovazione. E ha passato il fine settimana a segnalare agli amici il video di Crozza sugli amici in lista del premier, l’angiologa Lidia Rota Vender che racconta di quanto sia bravo Mario a Trivial e del suo bambino che portava al futuro premier dodici quotidiani pedalando con una gamba rotta. La lista Monti sembra un gioco di alta società , presentazioni al Plaza e alla fondazione Serbelloni, algida lontananza dal Paese reale. Ma quando Monti avverte che una solida iniezione di cultura riformista farebbe bene a tutti i partiti e che le sue riforme sono state contrastate da tutte le forze politiche, l’Elettore Democratico non può fare a meno di pensare che abbia qualche buona ragione. E si confonde ancora di più quando legge negli editoriali dell’”Unità ” che il premier, fino a ieri considerato il salvatore della Patria, ora viene trattato come un alfiere di destra, non ancora un fascistoide come Renzi ma quasi. L’Elettore Democratico, frastornato, si tiene stretta una convinzione: che un po’ di sano montismo, depurato dalle damazze milanesi, sarebbe una cosa buona per l’Italia. E perfino per la sinistra.
L’Elettore Democratico, già stremato, ha poi visto irrompere in scena l’ex pm Antonio Ingroia, che ex non è, dato che si è messo in aspettativa. Ha detestato la manfrina dell’incarico Onu in Guatemala, 52 giorni interviste comprese. Ha in orrore il repentino cambio di casacca, dalla toga ai talk show, ritiene che faccia male alla causa dell’indipendenza della magistratura. E ha guardato con ironia la vanità dei personaggi che si sono affollati attorno alla lista arancione, intellettuali, giornalisti, residui bellici della sinistra radicale, il loro sgomitare per un posto in lista, l’atteggiarsi a parte buona e migliore del Paese, del tutto speculare a quello dei salotti della lista Monti. Tra Scelta civica e Rivoluzione civile c’è una parentela, neppure troppo lontana. E tuttavia legge i sondaggi, vede che nelle regioni del Sud, dove la politica e l’affarismo mafioso sono più intrecciati, la lista Ingroia fa il pieno dei consensi. E non vorrebbe che con il pm e i suoi seguaci fossero sconfitte anche le ragioni e le bandiere che gli ingroiani, malamente, si trovano a sventolare.
Finito? No, perché l’Elettore Democratico indeciso, in questo lunedì di inverno carico di nuvole, cattive tentazioni e pensieri che non condivide (come dice Altan), ha voluto guardare di persona una tappa dello Tsunami Tour di Beppe Grillo e non lo ha trovato così orribile come si dice in giro. Poi ha sfogliato in rete i curriculum dei candidati (oggi raccontati sulla “Stampa”). Sono fragili e inadeguati, comici spaventati guerrieri, ma si fa davvero fatica ad associarli a Casa Pound o al berlusconismo: in questa carica di impiegati, militanti dell’acqua pubblica, insegnanti, studenti, persone normali senza un percorso partitico l’Elettore Democratico riconosce una parte di sé, un pezzo di sinistra spinta a militare altrove dalle carenze e dai tradimenti dei partiti della sinistra ufficiale. Candidati tutt’altro che qualunquisti, impegnati al contrario su battaglie piccole e grandi di difesa del territorio e di salvaguardia dell’ambiente, giovani che decidono di impegnarsi in prima persona e che nessun partito sarebbe oggi in grado di mobilitare. Una richiesta di nuova politica. Una risorsa, non una minaccia.
Resterebbe la spinta di sempre, il voto utile. Scegliere il partito più grande perché altrimenti torna il Puzzone di Arcore. L’Elettore Democratico ha fatto tante volte questa scelta. A Milano, una volta, gli toccò votare per un certo Diego Masi, il cui nome completo era Diego Masi De Vargas Macciucca, «per non far vincere la destra». A Firenze capitò di eleggere Lamberto Dini i cui eletti per due volte fecero cadere il governo Prodi. A Roma, al colmo della sventura, l’Elettore Democratico ha votato non una, ma ben sei volte (due volte nel ‘93 e una nel’ 97 come sindaco di Roma, una volta nel 2001 come candidato premier dell’Ulivo, due volte nel 2008 di nuovo come sindaco) per Francesco Rutelli. E dunque figuriamoci se non è sensibile al richiamo del voto utile. Ma questa volta, con il Cavaliere già costretto a corteggiare i nostalgici del Duce, vorrebbe che gli fosse offerta una scelta più rispettosa della sua intelligenza.
E così l’Elettore Democratico, per ora, si toglie dalla casella dei voti sicuri e si colloca in quella degli indecisi. In attesa che qualcuno lo ascolti. Ci sono quattro settimane di tempo per farlo. Non datelo mai per scontato, l’Elettore Democratico.
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