I ribelli della rete

by Sergio Segio | 18 Gennaio 2013 5:07

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A fine mese qui negli Usa esce il suo primo romanzo, Good Kids,
una storia d’amore tra due ragazzi figli dei figli del baby boom, una storia che lui stesso riassume cosi: «Come fai a ribellarti quando i ribelli sono i tuoi genitori ». Ma adesso è la storia di un altro ribelle e di un altro nerd — I ragazzi con gli occhiali— a tormentarlo.
Si poteva salvare?
«Mi ha fatto subito venire alla mente David Foster Wallace. E non solo perché era stato lo stesso Aaron a riferirsi a lui nel suo blog».
Aveva anche suggerito una propria conclusione al quel capolavoro che è Infinite Jest.
«Aaron era una persona fantastica. L’unica che conosco che potesse frequentare il mondo letterario e quello tech. Due mondi che tendono incredibilmente a ignorarsi: quelli che amano crogiolarsi nei testi lunghissimi e quelli che il testo scritto ormai è morto. Aaron era un genio dei computer ma lavorava a un magazine letterario».
Perché pensa a Foster Wallace? Oltre al destino tragico che li accomuna.
«Viviamo in un’epoca che per un certo tipo di intelligenze, intelligenze più suscettibili, può condurre a reazioni bipolari, a reazioni maniaco-depressive. Per chi è sempre assetato di nuovo, l’era di Internet può trascinare alla mania: e condurre alla depressione».
Sta parlando di una correlazione tra Internet e depressione?
«Sto solo speculando sulle similarità  di due personaggi eccezionali. Dico però che lo straordinario mondo di informazioni aperto da Internet ha una potenzialità  liberante enorme. Ma al contrario può anche deprimere. Internet può dare un potere immenso a chi non dovrebbe averlo…».
Con quali conseguenze?
«Guardate ai percorsi intellettuali. Aaron diventa sempre più prolifico: è ossessionato dall’idea dell’utilizzo positivo di Internet e si scontra con una cultura che non è ancora pronta. È la stessa ossessione che guida Foster Wallace alla ricerca della scrittura perfetta».
Non c’è via di uscita?
«Non voglio generalizzare. Ripeto: stiamo parlando di casi eccezionali. E nel caso di Aaron stiamo parlando di un ragazzo che rischiava 35 anni di galera. Credo che alla fine abbia contato più questo che l’attaccamento ai computer, no?».
C’è chi accusa la magistratura Usa e il Mit, l’istituto utilizzato per scaricare i file illegali. Aaron rischiava la prigione per questo. La sua famiglia ha parlato di persecuzione.
«Io non voglio accusare nessuno. Però dalla forza giudiziaria messa in campo è evidente che si sia cercato di dare risonanza pubblica al caso: volevano fare di Aaron Swartz un esempio per tutti».
Il suo sacrificio servirà  a ristabilre i confini di Internet? Legale e illegale…
«È una questione enorme. Certo è ridicolo che si possa rischiare di essere buttati in galera solo per aver scaricato dei file: è assurdo e sproporzionato. Però la proprietà  intellettuale esiste e va rispettata. Pensate a quanti ragazzi dell’età  di Aaron salgono su un pullmino e se ne vanno in giro a suonare rock’n’roll: ma non si possono mantenere perché c’èqualcunochepensachenonpagarelamusicaèok».
Lei stesso ha raccontato sul New York Times l’infanzia difficile, la depressione.
«Abbiamo tutti provato qualche forma di depressione ».
Ma c’è qualcosa che possiamo fare? C’è una cura? Computer e Internet circondano tutti noi. Ormai siamo tutti nerd:
siamo tutti smanettoni.
«Se metti il tuo libro davanti a tutto, come Foster Wallace ha fatto — se metti il tuo attivismo davanti a tutto, come Aaron Swartz ha fatto: col tempo diventa un peso sempre duro da sopportare. Sì, inseguire la tua passione di fonte a tutto e tutti comporta inevitabilmente sacrifici. Fino all’ultimo».

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