I dieci falsi del Cavaliere

by Sergio Segio | 12 Gennaio 2013 7:52

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E com’è sempre accaduto nel corso di questi rovinosi diciassette anni, la sua propaganda politica affonda mestamente di fronte all’evidenza dei fatti. Come la manipolazione della realtà  è stata il suo «metodo di governo», la menzogna è tuttora il format della sua campagna elettorale. Dagli ultimi due Truman show andati in onda sulla Rai a «Porta a Porta» e su La7 a «Servizio Pubblico», è possibile tracciare un «decalogo» delle falsità  più clamorose. Le nuove, dieci bugie dell’imbonitore di Arcore.
Afferma l’ex premier, per spiegare la drammatica caduta del suo governo nell’autunno di due anni fa: «Quello che è successo per farmi cadere è stata una congiura, nazionale e internazionale, e anche per la storia serve istituire un’indagine con una commissione d’inchiesta».
Nella fantasiosa ricostruzione «complottarda», Berlusconi non dice mai il vero, unico motivo che l’ha costretto alle dimissioni: l’8 novembre 2011 il suo governo cade di fatto alla Camera, dove il Rendiconto generale dello Stato passa con appena 308 sì, rispetto ai 316 del voto di fiducia. Lui stesso, allora, commenta: «Mi dimetto, per colpa di otto traditori». Nessuna «congiura», dunque. Semplicemente, la maggioranza di centrodestra si è sfasciata.

LO SGAMBETTO  TEDESCO SUGLI SPREAD

Nella teoria del complotto, il Cavaliere chiama in causa anche i «nemici» tedeschi: «A innescare l’impennata dello spread fu la Bundesbank, che a luglio diede ordine a tutte le banche tedesche di vendere i Btp italiani».
Non è vero, e lo stesso leader del Pdl si è dovuto in parte correggere. La banca centrale tedesca è del tutto estranea ai movimenti sui titoli di Stato. Ad alleggerire le posizioni in Btp è la Deutsche Bank, banca privata, che vende titoli pubblici sul mercato secondario nell’aprile 2011, cioè tre mesi prima che in Italia si profili lo spettro del default sul debito sovrano.

L’ITALIA È FORTE,  LA CRISI NON ESISTE

Nei suoi ultimi tre anni di governo, l’ex presidente del Consiglio nega fino al paradosso l’esistenza della crisi e della recessione. A maggio 2009 dichiara: «Il momento peggiore è passato, ci sono chiari segni di miglioramento». Al G20 di Cannes, il 4 novembre 2011, in piena tempesta europea sull’Italia, aggiunge: «Siamo un’economia forte, la terza del mondo. Il nostro stile di vita è quello di un Paese benestante, i consumi non diminuiscono, i ristoranti sono pieni, negli aerei non si riesce a prenotare».
Era falso già  nel 2009: per Eurostat allora il Pil italiano crolla del 5,5%. È ancora più falso nel 2011: la Borsa di Milano cede in un anno il 25,6%, secondo Confcommercio chiudono 9 mila ristoranti, l’Istat certifica un -16,5% nei viaggi aerei. Non è tutto. Giovedì scorso, da Santoro, Berlusconi insiste: «Non devo chiedere scusa, non annetto nessuna responsabilità  al mio governo nella crisi, e confermo tutto quello che dissi nel 2009: la crisi finanziaria è esplosa due anni dopo». Appunto: il suo leggendario «discorso sui ristoranti pieni» non è del 2009, ma dell’autunno 2011. A crisi già  drammaticamente deflagrata.

LA BATTAGLIA  SULL’IMU

Per giustificare la feroce campagna contro Mario Monti sull’Imu, Berlusconi ricorda: «Non è in questa direzione che doveva andare l’Imu. Doveva comprendere tutte le imposte locali, e colpire gli immobili ma non la prima casa che per noi è sacra. Abbiamo fatto tutti i tentativi per farla cambiare, ma non ci siamo riusciti».
Anche questa è una mezza menzogna. Intanto l’Imu fu introdotta comunque dal suo governo, con il decreto legislativo numero 23 del 14 marzo 2011. E in ogni caso, mentre risulta un pacchetto di emendamenti presentati nel corso dell’iter parlamentare, nessuna contrarietà  è mai stata manifestata dal segretario del Pdl Alfano, durante i tre vertici con Monti e Bersani che portano, nel dicembre 2011, al varo del decreto Salva-Italia. Se battaglia c’è stata, non è apparsa così «convinta».

LA LOTTA CONTRO  L’EVASIONE FISCALE

È la più falsa, nel gioco delle tre carte del Cavaliere. Mercoledì scorso, nel salotto di Vespa, declama: «Non ho mai sostenuto l’evasione fiscale. Lei sta parlando al presidente del Consiglio che ha combattuto di più l’evasione fiscale».
È vero l’esatto contrario. Già  nel 2004, in conferenza stampa a Palazzo Chigi, definisce «moralmente autorizzati» gli evasori ai quali «lo Stato avanza la richiesta scorretta superiore al 50%». E mercoledì scorso, sempre da Vespa, lo ripete: «C’è un clima di terrore per colpa di Equitalia… È moralmente accettabile non pagare tasse ingiuste». Non solo. Il primo atto del suo ultimo governo, nel giugno 2008, è la legge che azzera la norma sulla «tracciabilità » introdotta dal governo di centrosinistra: il limite all’uso del contante, fissato da Prodi in 100 euro, viene alzato a 12.500 euro. Gli evasori ringraziano. Non a caso, tre anni dopo, lo stesso Tremonti deve fare retromarcia, e riportare il limite a 500 euro. Ma ormai è troppo tardi.

IL FALSO PROBLEMA  DEL DEBITO PUBBLICO

«Il nostro debito pubblico è un falso problema – sentenzia il leader azzurro da Santoro – perché intanto bisogna considerare che a fronte di questo debito c’è un’attivo infinitamente più grande, e poi in rapporto al Pil bisogna considerare l’economia sommersa».
La teoria è stravagante. La bugia è provata: l’Istat, nel quantificare il Prodotto interno lordo, tiene conto del sommerso già  dal 1987, per una quota pari al 17%.

IN ITALIA NON SI POSSONO FARE I DECRETI

Per articolare il suggestivo «movente» che spiega la necessità  di una «profonda riforma della nostra architettura politico-istituzionale», Berlusconi a «Servizio Pubblico» afferma: «L’Italia è ingovernabile. Da noi il governo, al contrario di quello che accade in tutti i Paesi occidentali, non può intervenire con lo strumento del decreto legge, immediatamente esecutivo, ma solo con i disegni di legge, che hanno tempi di approvazione tra i 450 e i 600 giorni».
È l’ultima «invenzione» della settimana, la più folkloristica. Nella Storia repubblicana, il Berlusconi III della legislatura 2001/2006 vanta il record assoluto nel ricorso ai decreti legge (di vigenza immediata e da convertire entro 60 giorni) nel solo primo anno di governo: ben 54. Nel primo anno del Berlusconi IV, il Cavaliere presenta e fa approvare 34 decreti legge, dal salvataggio Alitalia ai rifiuti in Campania. Nell’intero arco dell’ultima legislatura, cioè nei 42 mesi che corrono tra il 2008 e il 2011, il suo governo presenta e fa approvare 80 decreti legge.

MAI PAGATO UNA DONNA PER FARE L’AMORE

Di fronte alle domande rimaste sempre senza risposta sui suoi rapporti con Noemi Letizia, Ruby Rubacuori, le Olgettine e i soldi erogati a Barbara Matera fino alla sua candidatura alle elezioni europee, il Cavaliere giura: «Non ho mai pagato una donna per fare l’amore».
In realtà , la «letteratura» giudiziaria e processuale sulle escort a disposizione dell’ex presidente del Consiglio nelle «serate eleganti» di Palazzo Grazioli, Arcore e Villa Certosa, è veramente infinita. Agli atti dell’inchiesta di Napoli sulla presunta estorsione di Tarantini e Lavitola nei suoi confronti, il procacciatore di donne barese parla al telefono delle ragazze che porta ogni fine settimane a casa del Cavaliere: «Berlusconi le ha sistemate tutte. Sabina Began (la famose “Ape Regina”) si è sistemata per tutta la vita…». Nell’inchiesta barese, innescata dalle rivelazioni di Patrizia D’Addario, quest’ultima il 5 novembre 2009 al telefono con Tarantini dice: «Stanotte con Silvio non abbiamo chiuso occhio. È andata bene, ma niente busta però. Come mai? Mi avevi detto che c’era una busta…». Presso il tribunale di Milano, infine, pende ancora il giudizio sul caso Ruby, dove Berlusconi è imputato per prostituzione minorile.

SU RUBY DIFFAMAZIONE SENZA PARI

Proprio il processo Ruby è per l’ex premier il nodo più intricato. A «Otto e mezzo» si difende: «C’è stata una diffamazione senza pari. Non ho mai detto che era la nipote di Mubarak… E non è vero che la Camera ha approvato una mozione che diceva che Ruby era la nipote di Mubarak».
Qui la manomissione del reale diventa impudenza esistenziale. Negli atti del processo milanese nei suoi confronti esiste il verbale della telefonata che l’allora capo del governo fa la notte del 27 maggio 2010 al funzionario della Questura Pietro Ostuni: «Dottore, volevo confermarle che conosciamo questa ragazza, soprattutto spiegarle che ci è stata segnalata come la nipote del presidente egiziano Mubarak». Quanto al voto parlamentare, il 3 febbraio 2011 la maggioranza di centrodestra si impone alla Camera, negando le perquisizioni richieste per il Rubygate e riconoscendo l’incompetenza della procura di Milano, con una mozione che si basa sul seguente assunto formale, e surreale: «Il presidente del Consiglio era realmente convinto che la ragazza fosse nipote di Mubarak».

LA SCHIAVITà™ DEL TELEFONINO

Il Cavaliere detesta i cellulari. Lo assicura a «Servizio Pubblico»: «Non ho il telefonino, mi priva della libertà  e non mi lascia lavorare».
È la frottola più «lieve», ma se vogliamo la più simbolica. Lo dice, negli studi di Santoro, poco dopo il servizio televisivo, ormai celebre in tutto il mondo, che lo ritrae al cellulare a passeggio sul lungofiume di Baden Baden, mentre la Merkel lo aspetta inutilmente per il vertice internazionale che deve nominare Rassmussen segretario della Nato. E agli atti del processo Tarantini-Lavitola fioccano ovunque telefonini e schede telefoniche, in uso all’ex presidente del Consiglio. Spesso non intestati a lui, ma a oscuri trafficanti sudamericani. Il telefono è la sua voce, ma anche la sua croce.

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