by Sergio Segio | 4 Gennaio 2013 8:56
Da una parte più di 400 milioni di indiani senza elettricità , dall’altra l’intero ecosistema dell’Himalaya a rischio e tutti gli abitanti della zona costretti a spostarsi. Le 292 dighe progettate dall’India per andare incontro alle necessità della popolazione hanno già scatenato le proteste delle comunità locali e di molti scienziati. Ora uno studio pubblicato da Science spiega la posta in gioco: la scomparsa di buona parte della natura himalayana per come il mondo è abituato a conoscerla, con almeno sette specie animali e 22 vegetali a rischio estinzione entro il 2025, quando saranno stati ormai sommersi o danneggiati almeno 1.700 chilometri quadrati di foreste, mentre nel 2100 saranno scomparse 274 specie di vertebrati e 1.505 di piante.
Gli autori della ricerca sono due scienziati dei due lati del Tetto del mondo, Edward Grumbine dell’Accademia Cinese delle Scienze e Maharaj K. Pandit dell’Università di Delhi. Premessa con onestà la questione dell’energia pulita che le dighe garantirebbero, evitando il previsto raddoppio entro il 2030 delle emissioni di biossido di carbonio, Grumbine e Pandit passano al problema: delle 292 dighe progettate, si conoscono i dettagli solo delle prime 132. Hanno capacità produttive che variano dai 7 agli 11mila Megawatt e saranno al 90% senza bacini di riserva. Si può presumere che anche le altre 160 saranno simili, ma ciò non ridurrà il loro impatto. In primo
luogo, perché solo quattro delle 32 principali vallate con un fiume non avranno la loro barriera. Così si arriverà a una delle più alte densità di dighe nel mondo, una ogni 3.000 chilometri quadrati, e in una delle zone con maggiore ricchezza di specie di uccelli, piante, farfalle e pesci che esistano. L’88% dei progetti riguarda gli ecosistemi delle foreste tropicali e temperate, fra i più vulnerabili che esistano, e la metà sarà proprio nel cuore delle giungle, dove la foresta si fa più fitta e non conosce o quasi la presenza dell’uomo.
Dove invece la presenza dell’uomo c’è, verrà eliminata. Le stime ufficiose, in assenza di quelle ufficiali, di quanti sono stati già trasferiti per costruire dighe in tutta l’India oscillano fra i 16 e i 40 milioni. Grumbine e Pandit commentano, ironici: «Con così tante persone spostate senza adeguati risarcimenti, è facile capire perché le manifestazioni contro le dighe sono ormai una caratteristica della società indiana». Le soluzioni in realtà non mancherebbero. Per esempio, suggerisce lo studio, si potrebbero ridurre le perdite di energia dovute a bassa potenza della rete e furti, attualmente stimate fra il 20 e il 30%: più di quanto tutte le dighe indiane producono. Ma soprattutto ci sono i vicini dell’India, anche loro dediti a progetti e costruzioni di dighe himalayane, con scarsa coordinazione internazionale nonostante i fiumi che scendono dalla catena montuosa traversino più nazioni. La conclusione non lascia dubbi: cominciando a coordinare gli interventi fra India, Pakistan, Nepal e Buthan da un lato e Cina dal-l’altro, si potrà creare un sistema con meno dighe. Utile ai bisogni energetici, ma anche all’Himalaya.
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