by Sergio Segio | 19 Gennaio 2013 8:52
In un Paese fra i più poveri dell’America Latina, già provato da instabilità e insicurezza, il sisma ha aumentato le difficoltà del popolo haitiano e 36 mesi dopo, nonostante l’impegno nella ricostruzione del Paese di centinaia di ong[1], ad Haiti migliaia di persone si trovano ancora in rifugi precari, l’assistenza sanitaria è insufficiente e circa 10 milioni di persone (di cui circa 2 milioni nella capitale) vive al di sotto della soglia di povertà [2].
Amnesty International[3] ha chiesto in questi giorni alle autorità haitiane e alla comunità internazionale di considerare la questione degli alloggi in via prioritaria visto che solo una piccola parte dei fondi promessi dai donatori è stata assegnata a progetti edilizi.
 Attualmente, 350.000 persone vivono ancora nei 496 campi distribuiti su tutto il paese e secondo le testimonianze raccolte da Amnesty, le condizioni di vita nelle tendopoli stanno peggiorando: “si registra una forte difficoltà nell’accesso all’acqua, ai servizi igienici e ai sistemi di raccolta dei rifiuti, circostanze che hanno contribuito alla diffusione di malattie infettive. Le donne e le ragazze rischiano stupri e altre forme di violenza sessuale”.
 Come se non bastasse essere esposti all’insicurezza, alle malattie e agli uragani, molte persone che vivono nelle tendopoli sono costantemente a rischio di essere sgomberate con la forza. “Dopo il terremoto oltre 60.000 persone hanno subito sgomberi forzati dalle tendopoli e altri 80.000 haitiani che vivono in campi allestiti prevalentemente su terreni privati rischiano lo sgombero”.
 
Secondo Amnesty[4], “le iniziative del Governo di Haiti sembrano al momento più interessate a impedire alle vittime del terremoto di vivere in luoghi pubblici piuttosto che a fornire loro alloggi sicuri”.
Ma non è solo la mancanza di alloggi a preoccupare. La partenza di molte ong nel 2011 e la diminuzione dei finanziamenti hanno peggiorato le condizioni di vita non supportate da un sistema sanitario adeguato visto che la maggior parte degli ospedali nella zona del terremoto è ancora distrutto o gravemente danneggiato. PerJoan Arnan, capo missione di Medici Senza Frontiere[5] (Msf) “Il processo di transizione è troppo lento. Questo accade perché le istituzioni haitiane sono deboli, i donatori non hanno mantenuto le loro promesse, i Governi e la comunità internazionale hanno fallito nello stabilire delle priorità chiare”. La debole risposta all’epidemia di colera[6], l’altra catastrofe che ha colpito Haiti nel 2010, dimostra i ritardi nella ripresa del sistema sanitario che ha dovuto affrontare ricorrenti ricadute in seguito al passaggio degli uragani Isaac e Sandy dello scorso autunno, quando le piogge hanno causato lo straripamento delle fogne a cielo aperto, provocando la diffusione dei batteri che causano la malattia. Ancora oggi “la maggior parte della popolazione non ha accesso a servizi igienici adeguati e il trattamento del colera non è ancora stato completamente integrato nelle poche strutture di sanità pubblica esistenti” ha spiegato Arnan[7].
Per tamponare l’emergenza Msf, subito dopo il terremoto, ha messo in piedi un ospedale da campo per assistere i sopravvissuti al sisma a Léogà¢ne, la città più vicina all’epicentro del sisma. Attualmente la struttura organizzata in container per il trasporto marittimo “Colma una lacuna che esisteva da molto prima del terremoto”, ha concluso Arnan[8]. “La maggior parte degli haitiani non aveva accesso all’assistenza sanitaria già prima del 12 gennaio 2010, sia a causa della mancanza di servizi disponibili, sia perché non aveva denaro a sufficienza. Noi abbiamo risposto alla catastrofe e intendiamo rimanere fino a quando la ricostruzione non sarà terminata e le strutture di sanità pubblica potranno subentrare. Sfortunatamente sono passati tre anni e non è cambiato quasi nulla, in termini di accesso alle cure”.
Oggi ci ha ricordato il Vis – Volontariato Internazionale per lo Sviluppo[9] impegnato da subito[10] affianco alla Comunità Salesiana nelle attività di ricostruzione e sostegno a favore delle persone più vulnerabili “Haiti è al 158° posto su 187 Paesi monitorati dall’Rapporto sullo Sviluppo Umano[11] e il suo Indice di Sviluppo[12] è pari allo 0,454, contro uno 0,731 per la zona dei Caraibi e dell’America Latina, collocandosi così nel gruppo dei Paesi a più basso sviluppo umano […] Il 53,6 per cento della popolazione vive in zone rurali e la maggior parte si trova in condizioni di povertà perché l’agricoltura non produce a sufficienza per far fronte ai bisogni alimentari della popolazione ed Haiti deve importare il 60 per cento del cibo necessario a sfamare gli haitiani”.
Ma non tutto è perduto. Nel quartiere di Croix-des-Bouquets si stanno sviluppando i progetti del “Future 4 Haiti[13]” la cordata italiana che mette insieme Caritas[14], Croce Rossa[15], Fondazione Fondiaria SAI[16], Fondazione Marcegaglia[17] e i Missionari Scalabriniani[18] che mira al reinsediamento degli sfollati dal terremoto e al miglioramento della loro qualità di vita coinvolgendo la popolazione locale secondo l’orientamento “dell’imparare facendo”. Oggi nell’area della Missione Scalabriniana una scuola per 600 studenti sta segnando il futuro e un Poliambulatorio affronta i problemi sanitari della popolazione accanto ad un nuovo progetto finalizzato all’aggregazione, alla capacità di collaborazione e alla ricostruzione non solo materiale ed economica, ma anche sociale del proprio Paese. Ecco perché le ong rimaste non vanno abbandonate e i donatori, i governi e la comunità internazionale devono impegnarsi a garantire agli haitiani la possibilità di farsi carico del proprio futuro e forse “…nonostante tutte le sofferenze, Haiti si rialzerà ”.
Alessandro Graziadei[19]
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