Gay, donne, immigrati e clima il giuramento liberal di Obama “Non lasciamo indietro nessuno”

by Sergio Segio | 22 Gennaio 2013 8:46

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WASHINGTON. i tempi cambiano dobbiamo cambiare noi, trovare nuove risposte alle sfide nuove. Insieme, come nazione, senza lasciare indietro nessuno». Barack Obama davanti a una folla di 600.000 persone a Washington inaugura il suo secondo mandato.
E LO fa con un discorso più radicale di quattro anni fa, un’agenda di valori progressisti per il XXI secolo. Eguaglianza, inclusione di tutti nella crescita economica, apertura agli immigrati, diritti dei gay, lotta al cambiamento climatico. «La sfida della nostra generazione — dice il presidente — è realizzare nei fatti il principio della nostra costituzione, per cui tutti nasciamo eguali e con gli stessi diritti. Siamo fedeli a quei valori solo se una bambina nata nella povertà  estrema può sapere di avere le stesse chance di altri, perché è americana, perché è libera ed eguale non solo davanti a Dio ma anche ai nostri occhi».
A 51 anni, Obama presta giuramento come 44esimo presidente degli Stati Uniti usando due Bibbie: quella di Abraham Lincoln che abolì la schiavitù, e quella di Martin Luther King che guidò il movimento per i diritti civili e al culmine delle sue battaglie fu assassinato. Obama cita King: «La nostra libertà  individuale è inestricabilmente legata alla libertà  di ogni essere sulla terra». In una cerimonia gioiosa e patriottica, l’animo «pop» del presidente riunisce alcuni suoi cantanti preferiti costruendo un ponte fra generazioni da James Taylor a Beyoncé. La coreografia accurata assegna a un poeta ispanico e gay l’orazione dopo il presidente; alla prima giudice costituzionale ispanica il giuramento del vicepresidente Joe Biden. Il presidente rivendica il suo successo nella sfida più grande, quella che avrebbe potuto stroncarlo e costringerlo a un solo mandato: «La crisi economica ha messo a dura prova la resilienza dell’economia americana. La ripresa ormai è cominciata. Ma ne trarremo beneficio solo quando tutti staranno meglio ». A più riprese usa il plurale della Costituzione, We The People: «Noi, il popolo, capiamo che il nostro paese non ha successo se il successo è riservato a pochi, e una maggioranza ce la fa a stento». Il tema dell’eguaglianza fa da filo conduttore per un duro attacco contro l’ideologia neoliberista. «Ogni cittadino merita una sicurezza sociale di base. Rigetto la tesi secondo cui l’America deve scegliere tra il benessere degli anziani e il futuro dei giovani». Tra le priorità  indica una riforma fiscale redistributiva, il rilancio della scuola. Dedica un lungo passaggio al cambiamento climatico, legandolo con le catastrofi recenti come l’uragano Sandy: «Non possiamo tradire le future generazioni ignorando la minaccia ambientale, è nostro dovere costruire la strada verso un futuro di energie rinnovabili». E’ uno dei terreni su cui si prepara allo scontro con la destra, dove la lobby petrolifera resiste ad ogni carbon tax o altre misure contro le emissioni di CO2.
Sul tema dell’eguaglianza, «la stella polare della nostra Costituzione, che deve guidarci ogni giorno», il presidente insiste sulla parità  retributiva per le donne, e paragona la battaglia per i diritti civili dei gay a quelle dei neri negli anni Sessanta. Conferma che uno dei primi progetti di riforma riguardera` l’immigrazione, «perché l’America deve trovare modi migliori per accogliere quegli stranieri che ci vedono come la terra delle opportunità  ». Una corsia veloce per la regolarizzazione degli immigrati clandestini, è il progetto che metterà  in difficoltà  la destra. I repubblicani si sono cuciti addosso l’immagine del partito «bianco» anti-immigrati, hanno pagato questo errore all’ultima elezione dove ispanici e asiatici hanno dato il 70% dei loro consensi a Obama. Tutto il discorso dell’Inauguration Day ha sullo sfon-
do la «nuova coalizione» su cui Obama ha costruito la vittoria: donne, giovani, minoranze etniche, gay. Il presidente torna al nuovo modo di fare politica, che fu il passaggio più toccante nel suo discorso della vittoria, la sera della rielezione il 6 novembre scorso a Chicago. «Voi ed io, come cittadini, abbiamo il potere di imprimere la direzione a questo paese». È un rinnovato appello alla mobilitazione politica anche fuori dalle elezioni, una fiducia nell’impegno civile quotidiano.
È anche un’indicazione sulla tattica di Obama Due: di fronte ai boicottaggi della destra al Congresso, il presidente è intenzionato a rivolgersi direttamente all’opinione pubblica. È la forza vera di un presidente soprattutto in un secondo mandato, quando non ha più bisogno di essere rieletto, e può appellarsi alla nazione per sbloccare un sistema parlamentare anchilosato.
In politica estera sottolinea che «la nostra sicurezza non richiede uno stato di guerra perpetua». Garantisce che continuerà  a «sostenere la democrazia dall’Asia all’Africa al Medio Oriente». Nel suo primo mandato ha chiuso una guerra iniziata dal suo predecessore (Iraq) e avviato a conclusione la seconda (Afghanistan). Non ha esitato a mollare un alleato dell’America, Mubarak, per schierarsi dalla parte dei manifestanti di piazza Tahrir. Ma il bilancio delle primavere arabe resta incerto e problematico, e proprio in questo Inauguration Day arriva dall’Algeria la conferma che tre ostaggi americani sono morti nel conflitto tra l’esercito e Al Qaeda.
È un presidente meno «ingenuo»: quattro anni dopo la meravigliosa folla di un milione ottocentomila persone, Obama non rievoca come fece allora un vasto consenso bipartisan. Ha perso illusioni sulla sua capacità  di costruire ponti fra destra e sinistra. È stato rieletto con il 51% e lo sa: ma la volontà  d’imprimere cambiamento non si è piegata.

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