“Fra Stato e mafia ci fu intesa, non trattativa”

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ROMA — La trattativa Stato-mafia? Il carcere duro 41-bis, e la latitanza “dorata” di Bernardo Provenzano, non furono oggetto di un accordo istituzionale con Cosa nostra. Ci furono, solo, dei contatti tra i carabinieri del Ros e Vito Ciancimino, referente mafioso: «Una tacita e parziale intesa tra parti in conflitto». I carabinieri fecero «un’ardita operazione investigativa che, cammin facendo, uscì dal suo alveo naturale». I carabinieri furono imprudenti, e Ciancimino ambizioso. Quasi tutti i politici di allora, invece, non ne sapevano nulla: “assolti” Conso, Ciampi, Amato e Scalfaro. Qualche dubbio rimane, invece, per gli ex scudocrociati Mancino e Mannino. Si conclude così, in sintesi, la “bozza” di Giuseppe Pisanu (l’ex democristiano moroteo, ex Pdl oggi montiano) presidente dell’Antimafia, sulle stragi mafiose dei primi anni Novanta. La sua bozza si conclude sancendo il declino di cosa nostra, iniziato proprio con la stagione dello stragismo. Ma lascia senza risposta inquietanti sospetti e interrogativi. Martedì prossimo sarà  discussa con i componenti Pd e Pdl per la definizione della relazione conclusiva della Commissione. «Quella di Pisanu — precisa la democratica Garavini — è il primo passo. Daremo il nostro contributo affinché tutti si possano pronunciare sui nodi non ancora sciolti».
I POLITICI SICILIANI
«Rimane tuttavia il sospetto — scrive Pisanu — che, dopo l’uccisione di Salvo Lima, uomini politici siciliani, minacciati di morte, si siano attivati per indurre cosa nostra a desistere dai suoi propositi in cambio di concessioni da parte dello Stato». Per quanto riguarda i politici nazionali, dal presidente della Repubblica Scalfaro ai premier Amato e Ciampi, hanno sempre detto di non saperne nulla. Non si può mettere in dubbio, chiosa Pisanu, la loro parola e fedeltà  alla Costituzione.
LA STRAGE DI CAPACI
Il presidente sottolinea la presenza sulle scene degli attentati e delle stragi di personaggi — non mafiosi — rimasti sconosciuti: da dove venivano? In alcuni casi, ci sono state rivendicazioni sospette, come quella, tempestiva, del gruppi politicoterroristico “Falange Armata”: come si spiega?». A Capaci fu necessaria una «speciale competenza tecnica per realizzare un innesco che evitasse l’uscita laterale dell’onda d’urto dell’esplosione e la concentrasse invece sotto la macchina di Falcone. Mi chiedo: cosa nostra ebbe consulenze tecnologiche dall’esterno?».
I DEPISTAGGI
«Solo negli ultimi anni è stato scoperto il gigantesco depistaggio delle indagini sull’attentato di “via d’Amelio”, depistaggio che ha lungamente resistito al tempo e a ben due processi: chi lo organizzò e perché furono lasciati cadere i sospetti che pure emersero fin dagli inizi?».
IL RUOLO DEL ROS
«Ci fu almeno una trattativa tra uomini dello Stato privi di un mandato politico e uomini di cosa nostra divisi tra loro e quindi privi anche loro di un mandato univoco e sovrano. Ci furono tra le due parti convergenze tattiche, ma strategie divergenti. I carabinieri del Ros volevano far cessare le stragi, i mafiosi volevano invece svilupparle fino a piegare lo Stato».
I MANDANTI
La mafia per le stragi «di certo non prese ordini da nessuno, perché ha sempre badato al primato dei suoi interessi e all’autonomia delle sue decisioni. Tuttavia, quando le è convenuto, non ha esitato a collaborare con altre entità  criminali, economiche, politiche e sociali».


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