Fiom, dopo Airaudo eletto De Martino

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Cinquantasette anni, da una vita nel sindacato, prima come delegato – dal 1979 – quando era operaio alla Bertone (ora Officine Maserati Grugliasco), poi – dai primi anni ’90 – come funzionario, anche alla storica Quinta lega di Mirafiori dove è rimasto per quindici anni. Stimato, conosce bene ogni dettaglio dell’automotive. Tocca a lui succedere a Giorgio Airaudo, che si è dimesso per candidarsi nelle liste di Sel alle prossime elezioni politiche («Ho intenzione di ritornare, anche da umile frate, non ho altra casa se non quella dei metalmeccanici in Cgil» ha precisato l’ex leader sindacale). Airaudo segue la scia di altri segretari piemontesi approdati in parlamento, da Sergio Garavini a Emilio Pugno, da Cesare Damiano a Fausto Bertinotti. «Quella di Giorgio è un’eredità  pesante – racconta De Martino – è stato in grado di interloquire con molti soggetti, di tenere all’ordine del giorno i temi del lavoro per la sua capacità  di rapportarsi con i mass-media. Il Lingotto si è illuso di tagliarci fuori, non ce l’ha fatta».
Da domani cosa farà  in qualità  di segretario regionale?
Farò una ricognizione di tutti territori. Il primo obiettivo è quello di evitare i licenziamenti, dato che numerose aziende in crisi stanno per esaurire gli ammortizzatori. De Tomaso e Sandretto sono due emergenze, hanno la copertura della cassa integrazione fino a luglio, finita quella ci sarà  il rischio di licenziamenti di massa per 1.200 dipendenti. Dovremo, poi, riconquistare un ruolo negoziale per il sindacato, cancellato dall’accordo sulla produttività  e dal contratto nazionale separato di Fim e Uilm. C’è stato uno scambio iniquo tra diritti e lavoro, un fallimento. A rimetterci sono stati doppiamente gli operai: salari più bassi e meno occupazione.
Si parla spesso di Fiat e di Torino, ma come sta il Piemonte industriale?
La situazione è simile in tutta la regione, da Asti a Biella, dal tessile alla rubinetteria. A Novi Ligure l’Ilva subisce le scelte di Taranto. E la componentistica dell’auto arranca ovunque: secondo dati dell’Unione industriale, il 40% delle aziende rischia la chiusura. Il polo del lusso che Marchionne vorrebbe fare a Mirafiori non garantisce il posto ai 5.400 delle Carrozzerie, figuriamoci al vastissimo indotto.
Arriveremo alla fine di una crisi o ci troviamo di fronte alla ridefinizione di un’epoca?
C’è la sensazione che dobbiamo continuamente difendere «la baracca». Tocca alla politica indicare un nuovo modello di sviluppo, capire come garantire reddito ai lavoratori.
E a proposito di politica, cosa pensa della scelta di Airaudo di candidarsi alla camera?
Giorgio eserciterà  la sua esperienza, molti politici non sanno di cosa parlano. Lui va con una competenza. È stata una scelta personale, collaboreremo con reciproca autonomia affinché il Parlamento si occupi di restituire il diritto di parola ai lavoratori e di fornire strumenti per affrontare l’emergenza.
In questi giorni di clima ormai elettorale, la Fiom è corteggiata o strattonata da molti. Come giudica il rapporto tra sindacato e politica?
È un rapporto antico quanto la storia del movimento operaio. Proprio in questo periodo di crisi per il sindacato è importante avere una sponda politica che si occupi dei nostri problemi.


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