Esclusi dalla conoscenza, il super-spread del potere

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Ha coinvolto illustri scienziati, filosofi, ricercatori, economisti, giuristi, studiosi di etica, giornalisti (tra gli altri Gustavo Zagrebelsky, ex presidente della Corte costituzionale, il presidente del Censis Giuseppe De Rita, la preside della facoltà  di agraria di Pisa Manuela Giovannetti, l’economista Giorgio Ruffolo, la politologa della Columbia University Nadia Urbinati, l’ex presidente della Corte costituzionale Valerio Onida, il filosofo Emanuele Severino), in un confronto trasversale e multidisciplinare che si è svolto on line (www.scienceanddemocracy.it) sulla necessità  di promuovere una maggiore partecipazione democratica alla ricerca scientifica nel campo delle scienze della vita.
Nel pieno della crisi economica mondiale, lo spread finanziario viene usato come un tempo i carri armati: da parte dei paesi ricchi a scapito di quelli meno, attuando un gigantesco drenaggio – e trasferimento – di risorse dai secondi verso i primi e, all’interno di ogni paese, dai ceti del lavoro (compresi i ceti medi e persino quelli medio-alti) verso le grandi banche d’affari e le centrali della speculazione. Come sta avvenendo: basta guardare alla situazione in Italia (per non parlare di Grecia e Spagna) e in Europa.
Come capita, quando i mali non vengono da soli, quella finanziaria non è la sola insidia. Ce ne è una ancora più invasiva, e di gran lunga più rovinosa: è lo spread della conoscenza.
Grazie alle scelte liberiste – e neoliberiste – la situazione è oggi questa: l’1% dell’umanità  possiede da solo circa il 50% della ricchezza planetaria; e il 10% ne controlla ben l’85 per cento (fonte: Onu).
Questa minoranza non detiene la conoscenza, in particolare quella scientifica e (bio)tecnologica, solo in quanto la produce in larga parte, ma soprattutto perché ne condiziona (controlla?) l’uso e le finalità , inglobandola nella propria visione del mondo, che diffonde e impone.
Per questo Marc Augé parla di «un’aristocrazia planetaria del sapere, del potere e della ricchezza, contrapposta a una massa di semplici consumatori e a una massa, ancora maggiore, di esclusi sia dal sapere sia dal consumo. Un’aristocrazia globale». La conoscenza è il bene comune più prezioso dell’umanità . Certo, è preziosa anche l’aria: ma se non fossimo coscienti che la respiriamo – e, dunque, fossimo ridotti a semplice vita animale o vegetativa – avrebbe la stessa importanza? Tra i saperi, quello scientifico – e (bio)tecnologico – riveste un ruolo particolare, data la crescente incidenza che la scienza e la tecnica esercitano sulla nostra vita quotidiana.
Poiché la scienza decide della nostra vita, ma noi non possiamo decidere della scienza (data la separatezza in cui è stata relegata), la ricerca scientifica partecipata è imprescindibile sia per apprenderne i saperi sia per superare il conflitto fra scienza e società  e realizzare il dialogo fecondo tra l’una e l’altra.
La ricerca scientifica partecipata è il vettore per quella conoscenza condivisa che deve divenire il bene comune intangibile che spetta di diritto al consorzio umano.
Dobbiamo decidere insieme – cittadini e ricercatori: non il profitto – quale indirizzo dare al presente e al futuro della nostra specie, e a quello della Terra. In base al principio, semplice e basilare: Ciò che riguarda tutti deve essere deciso da tutti. Sulla nozione di “beni comuni”, il dibattito ha preso finalmente quota anche in Italia, ad opera di studiosi, per esempio, come Stefano Rodotà  e Maria Rosaria Marella, e ha avuto un’impennata a seguito della vittoria referendaria, nel 2011, contro la privatizzazione dell’acqua.
La conoscenza e il sapere, quali beni comuni prioritari, a disposizione di tutta l’umanità , in quanto sottratti alla privatizzazione e liberati dalla reificazione del profitto, devono riacquistare il loro illimitato valore d’uso originario, con due risultati dirompenti: un allargamento della conoscenza – a cominciare da quella scientifica – al maggior numero possibile di persone, e un aumento esponenziale della conoscenza stessa.
*Presidente fondazione diritti genetici


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