by Sergio Segio | 17 Gennaio 2013 8:36
ROMA — Ancora qualche ora con il fiato sospeso, poi i cosiddetti «impresentabili» del Pd sapranno se il tribunale del partito li ritiene anche «incandidabili».
Il verdetto delle toghe «democratiche» non arriverà prima di domani, quando il presidente Luigi Berlinguer riunirà la Commissione nazionale di Garanzia.
La riunione decisiva è slittata più volte, segno che la questione delle liste pulite sta agitando non poco i vertici del partito. «C’è preoccupazione», ammettono in camera caritatis al Nazareno. Pier Luigi Bersani si è impegnato a candidare solo persone senza macchia e non vuole tradire l’impegno assunto con gli elettori, le cui linee fondamentali sono nero su bianco nel Codice etico e nello Statuto. Per questo i garanti discutono da giorni, cercando di non far trapelare nulla riguardo a possibili esclusioni.
Sul tavolo di Berlinguer ci sono tutte le liste e ogni nome, come ha promesso il leader, sarà passato al setaccio. L’istruttoria è blindatissima, porte chiuse a doppia mandata e i capicorrente che chiamano (invano) per avere notizie. Sembra che ad allarmare il segretario sia, più di ogni altro, il caso della giornalista casertana Rosaria Capacchione, finita nel mirino dei Casalesi per le sue inchieste contro la camorra. Bersani l’ha voluta capolista al Senato in Campania, ma ora la sua posizione crea imbarazzo. La cronista, sotto processo con l’accusa di aver calunniato un sottufficiale della Guardia di finanza, era a un passo dalla sentenza e ha presentato istanza di rinvio. La richiesta dei suoi avvocati è stata accolta, dunque tornerà davanti ai giudici di Santa Maria Capua Vetere solo il primo marzo: dopo il voto. «Sarà Berlinguer a decidere chi può candidarsi e non certo i giudici a colpi di avvisi di garanzia – avverte il bersaniano Matteo Orfini -. Questa barbarie non può essere recepita dalla commissione». Ma non è solo la Capacchione ad agitare il Pd. I nomi nel mirino sono parecchi: il casertano Nicola Caputo per l’indagine su alcune fatture sospette, la torinese Caterina Romeo per violazione della legge elettorale, Antonio Luongo per corruzione, Bruno Astorre per concorso in abuso ufficio alla Pisana… E poi due pesi massimi della politica siciliana, Angelo Capodicasa e Vladimiro Crisafulli. Il senatore di Enna, considerato il re delle clientele e delle amicizie discutibili, ha giurato al Messaggero di non essere mai stato indagato: «Se avessi un rinvio a giudizio o una condanna per mafia, lo capirei. Ma io sono pulito, pulitissimo».
E pulitissimi, a sentire gli ex Popolari, sono altri due siciliani: Antonio Papania, che ha patteggiato una condanna per abuso d’ufficio e Francantonio Genovese, malvisto da una parte del Pd per i suoi possibili conflitti di interesse. Aspetta il verdetto con ottimismo anche Nicodemo Oliverio, inguaiato dalla vendita di Palazzo Sturzo, storica sede della Dc: «Mi auguro che non ci siano problemi con i garanti, ho sempre agito per impedire una rapina ai danni del Ppi».
Nell’attesa della sentenza, Bersani manda in soffitta la Canzone popolare di Ivano Fossati. «Il nuovo disco di Gianna Nannini è bellissimo — ha scritto ieri su Twitter il segretario —. Ho scelto la sua canzone Inno e da domani (oggi, ndr) accompagnerà il Pd». Il nuovo inno dell’Italia Giusta («Mi ricordo di te, ti raggiungo ad occhi chiusi/Mi ricordo di te, per la strada mi incontrerai…») scandisce sul sito del Pd le gesta del leader negli ultimi mesi, dall’avvio della campagna nella natia Bettola al viaggio in Libia, all’indomani del trionfo alle primarie. Un video vecchio stile, tutto giocato sulla figura del segretario. Tra lui e Matteo Renzi c’è tensione, ma il sindaco di Firenze conferma che darà una mano in campagna elettorale: «Io sono leale, i ricattini appartengono ai mediocri».
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