E Prodi rivive l’incubo-pareggio: «Analogie col 2006»

by Sergio Segio | 9 Gennaio 2013 6:11

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Che notte, quella notte: o no? Romano Prodi sbuffa, lontano da nostalgie e romanticismi: «Beh, insomma, più che trionfale, anche se vincemmo le elezioni e andammo al governo, la ricordo come estenuante…».
Era la notte del 9 aprile 2006 e il Professore, sulla carta strafavorito con la sua Unione rispetto al centrodestra berlusconiano, dovette attendere ore, nell’abitazione romana di amici, prima di poter annunciare una vittoria che, netta alla Camera (340 seggi), si rivelò al Senato più scivolosa di una saponetta, inevitabilmente foriera di una stagione di governo vissuta sul filo dei voti e dei raffreddori dei senatori a vita (determinanti a Palazzo Madama dove, tolti il presidente del Senato, Franco Marini, e il transfuga, Sergio De Gregorio, la situazione tra i due poli divenne di assoluta parità : 157 a 157). Ride il Professore, ora più che mai in versione africana, totalmente calato nel ruolo di inviato speciale dell’Onu nel Sahel, terra, quella sì, di guerra vera: «Vincemmo per un pelo. Il mio stato d’animo? Quando l’incertezza dura così a lungo subentra inevitabilmente una sorta di atarassia: io sono uno di quelli secondo i quali nella vita non ci si può emozionare troppo a lungo….».
Sette anni dopo: e siamo daccapo. Prodi, da spettatore interessatissimo (ha votato alle primarie tra Bersani e Renzi e pure a quelle per i parlamentari), se da un lato avverte forte il rischio del pareggio al Senato («Le analogie con il 2006 ci sono, eccome, purtroppo»), dall’altro coglie nell’attuale scenario differenze tutt’altro che irrilevanti. Se allora l’unico e immodificabile canovaccio era il «muro contro muro», Prodi contro Berlusconi, «ora la platea dei soggetti – afferma – è diversa, più variegata». Il riferimento, più che al M5S di Grillo, destinato all’opposizione, è ai centristi, che, come rivelano anche le analisi elettorali di questi giorni, pur non conquistando alcuna regione, potrebbero giocare un ruolo determinante negli equilibri di Palazzo Madama: «Se nessuno prevale — prosegue il due volte ex premier —, è chiaro che si apre la strada ai compromessi. E’ normale: in Germania, dove da tempo non c’è un partito dominante, la via è quella delle coalizioni. Stessa cosa, stavolta, potrebbe avvenire da noi…». Tra il centrosinistra e i montiani, presidente? «Possibile. Dipenderà  dalla campagna elettorale, se sarà  o no particolarmente sanguinosa».
Parlare di Porcellum con Prodi è come infilare la mano nella bocca di un leone: si rischia l’amputazione. «E’ la peggior legge elettorale nella storia della nostra Repubblica» scrisse nel settembre scorso, aggiungendo la sua firma a quelle di un milione e 200 mila italiani che speravano in un referendum abrogativo (poi disinnescato dalla Corte costituzionale). E ben di peggio disse nel 2005, quando fu approvata, denunciandone l’illegittimità  sia sotto il profilo costituzionale (e non mancarono scintille con l’allora presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, che quella legge firmò), che dal punto di vista della moralità  politica («E’ una norma voluta unicamente per impedire a chi vince di governare, un colpo tremendo all’autorevolezza delle istituzioni»).
Idee che il passare del tempo non ha mutato: «Il Porcellum — dice — deforma la realtà : a guardare i risultati di Camera e Senato sembra di votare in due differenti Paesi». Eventuali antidoti? Sospirone: «Il primo è banale: fare il pieno di voti in Regioni cruciali come Lombardia, Campania, Sicilia». Ma è meglio presentarsi al Senato con un listone, come hanno deciso i centristi di Monti, o con due liste, come faceste voi dell’Unione nel 2006 e come faranno Pd e Sel? «E’ una scommessa, bisogna captare le aspettative dell’elettorato: in certi casi premia l’unione delle liste, in altri no. Io nel 2006 volevo andare con un listone in regioni in bilico come Piemonte, Lazio, Campania, ma mi fu negato dai partiti. Salvo poi, anni dopo, ammettere che avevo ragione…». Ora il tifo prodiano è tutto per il Pd e per il suo leader Bersani, a cui l’altro giorno l’«Economist» ha tirato la volata (per quel che conta), ricordando anche gli sforzi del secondo governo Prodi in tema di risanamento: «Mi ha reso molto orgoglioso: nonostante le difficoltà , quell’esecutivo resta l’unico ad aver fortemente abbassato il rapporto tra debito e Pil negli ultimi 20 anni, compreso il governo Monti…».

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