E i leader dell’antimafia si dividono “Siamo tornati ai tempi di Sciascia”

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ROMA — Divisi come sempre. Uno contro l’altro. Come ai tempi di Sciascia. In guerra come quando Giovanni Falcone andava in tv per difendere la sua scelta di lasciare Palermo e trasferirsi al ministero della Giustizia. Su fronti opposti come quando l’allora sindaco di Palermo Leoluca Orlando lo accusava di aver tenuto «le carte dei cassetti», quelle dei rapporti tra mafia e politica. Non c’è pace per il movimento antimafia, ormai da oltre vent’anni. E adesso che i protagonisti di allora e i nuovi eredi di oggi si ritrovato frangiati in ogni schieramento, dal Pd a Rivoluzione civile, da Sel al Megafono di Crocetta, le divisioni si estremizzano. Lo scontro tra Ingroia e Boccassini
diventa un tassello di una “eterna rissa” che, come dicono in tanti, «fa solo il gioco della destra ».
I più turbati, su fronti contrapposti, sono i figli di vittime famose come Pio La Torre e Giuseppe Fava, il parlamentare del Pd e il giornalista. Franco La Torre e Claudio Fava stanno uno da una parte, Rivoluzione civile di Ingroia, e uno dall’altra, Sel di Vendola. Reagiscono con la stessa angoscia. È uno sfogo quello di La Torre: «Non se ne può più. Quello che sento mi ricorda lo scontro all’interno del coordinamento antimafia ai tempi di Sciascia, quando poi lui scrisse quel famoso articolo. Fare la gara tra chi è più antimafioso è solo il più grande favore che si può fare alla mafia». Su Ingroia è netto: «Ero con lui non si è paragonato a Falcone».
I morti. I morti famosi. Claudio Fava rivela una reazione intima: «Il momento più malinconico della campagna elettorale dell’attuale governatore Rosario Crocetta è stato quando ha detto “sono il nuovo Giuseppe Fava”. È una vanità  pericolosa misurarsi con chi non c’è più, è poco rispettoso, magari pure in buona fede, ma inopportuno». Poi netto: «Così l’antimafia rischia di diventare solo un’esibizione di medaglie da portare all’applauso delle platee».
I morti non si toccanno. Mai, vanno lasciati in pace. Non la pensa in modo diverso Francesco Forgione, ex presidente della commissione parlamentare Antimafia, anche lui in gara con Sel: «Nessuno sa cosa avrebbero pensato La Torre e Borsellino. Una campagna elettorale che si scontra sulla memoria dei morti non mi piace. È sbagliato appropriarsi di un’eredità  che dovrebbe essere di tutti, per giunta pretendendo di dare anche l’interpretazione autentica». Le divisioni passate e presenti sono
un regalo alla destra. «Dall’altra parte ci sono i candidati come D’Alì e Lombardo, e su questo non ci si può dividere».
C’è imbarazzo anche dentro Rivoluzione civile. Lo si avverte quando parla una come Gabriella Stramaccioni, ex direttore di Libera: «Le divisioni purtroppo si ripetono, gli schieramenti sono sempre quelli. La madre di tutte le tragedie è la legge contro Caselli (quella che bloccò la sua corsa per la procura nazionale antimafia, ndr.)
». Poi una pacata difesa di Ingroia. «Non capisco l’accanimento contro di lui, per altri magistrati che sono scesi in politica non c’è stato. Lui è molto preoccupato e questo giustifica reazioni astiose che certo non aiutano, però c’è troppo fuoco amico e troppo fuoco nemico».
Libera, l’associazione di don Luigi Ciotti, sta con Ingroia ma sta che con il Pd. Davide Mattiello, che per quattro anni è stato il responsabile di tutta l’organizzazione
territoriale, è in evidente imbarazzo quando gli si mettono davanti le divisioni dell’antimafia: «La penso come il ministro Severino, certi toni sono inopportuni. Lo scontro è triste. Ingroia, Grasso, Boccassini hanno speso una vita contro la mafia, questo mi basta in un paese di malfattori, il resto è solo umanità ». È lo stesso imbarazzo che si coglie in una Pd come Laura Garavini, deputato uscente, candidata per l’Europa, componente della commissione Antiamafia. Eccola dire con esitazione: «È uno scontro che non comincia adesso. Sono esternazioni poco felici, tutti screzi legati alla precedente attività  professionale. Chi ne beneficia è solo la destra». E in effetti basta ascoltare il commento di uno come Roberto Centaro, ex magistrato passato con il Pdl e adesso esponente di punta di Grande Sud di Gianfranco Micciché. Lui non ha dubbi, coglie la palla al volo: «Ha ragione Boccassini. E io faccio mie le parole della sorella di Falcone, gli eroi del nostro tempo non vanno tirati in ballo per promuovere un’immagine politica. Ho conosciuto Borsellino e Falcone, il primo teneva Ingroia fuori dalla porta, il secondo fu attaccato dalla sinistra per il suo lavoro al ministero».
Proprio quello che s’immagina Fabio Granata, il finiano durissimo con Ingroia che dell’antimafia ha fatto una questione di vita politica. «Mi immagino la faccia dei boss di fronte a queste polemiche. Anche in campagna elettorale difendo quei valori, ma non cito ogni giorno le vittime. Di questi scontri avrei fatto volentieri a meno, danno fiato solo a chi attacca la magistratura. La discesa in campo di Ingroia e le polemiche non fanno bene al fronte antimafia e danneggiano solo il processo sulla
trattativa».


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