Di Pietro corre a Siena dopo i guai dell’Idv

by Sergio Segio | 29 Gennaio 2013 7:23

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ROMA — Oggi sarà  a Siena, in comizio e a parlare con i lavoratori e le Rsu del Monte dei Paschi. Non una tappa qualunque del suo tour. Perché Antonio Di Pietro ha deciso di investire buona parte dei suoi sforzi in un incessante bombardamento di Mario Monti e del Pd, che ha per oggetto il Monte dei Paschi di Siena.
Reduce da mesi di polemiche roventi, di accuse sulla gestione dei finanziamenti, sui rimborsi elettorali e sulla sua situazione immobiliare, Di Pietro si è lasciato indietro (temporaneamente?) l’Italia dei Valori e si è buttato con la foga di sempre nel cantiere di Rivoluzione Civile. Operazione ad alto tasso di contenuti giudiziari. E la faccenda del Monte dei Paschi non poteva essere occasione più ghiotta. Anche perché, spiega Di Pietro, «io sono persona informata dei fatti». Il perché risale a un annetto fa: «Noi fummo gli unici a fare due interrogazioni giudiziarie, anzi due vere e proprie requisitorie. Nelle quali interrogavamo il premier Monti e il ministro dell’Economia, per preavvertirli di quanto stava succedendo: l’ipervalutazione dell’Antonveneta, l’anomala persistenza del controllo della Fondazione, il modello Siena, con i consiglieri di amministrazione che erano tutt’uno con i partiti di appartenenza. Abbiamo chiesto di non dare seguito al versamento di due miliardi decisi dal governo Berlusconi e di non affidare la banca a Profumo». Risposte? «Nessuna, nonostante i solleciti. Abbiamo anche chiesto di valutare di trasmettere gli atti alla procura. Ma niente». 
Il primo bersaglio di Di Pietro è Mario Monti: «Non si può tirare fuori. È corresponsabile per atto omissivo e commissivo. Non ha fatto i controlli, nonostante un’anomalia grossa come una casa. Non ha chiesto l’intervento della magistratura e ha nominato Profumo. I due miliardi di ipervalutazione dell’Antonveneta si spiegano in due modi: chiamando la Croce Rossa, perché c’è un pazzo in giro, o ipotizzando una grossa mazzetta». Di Pietro propende per la seconda ipotesi, ma chiede che sia chiarita subito, «prima delle elezioni, così qualcuno va a San Vittore invece di andare alla Camera».
Il bersaglio numero due dell’ex pm è il Pd: «La parte illecita, se c’è, la vedrà  la magistratura. Ma intanto i democratici dovrebbero chiedere scusa agli italiani per falsa testimonianza o omissione di verità ». Su una cosa Di Pietro dà  ragione a Bersani: «È vero che non è la politica ad aver comandato la finanza, ma è la realtà  finanziaria che ha governato il partito territoriale. E questo non fa onore al Pd, che magari non sta dietro questa operazione, ma ci sta dentro fino al collo».
Se qualcuno pensa che tanto livore verso il Pd sia causato dal mancato accordo elettorale o che, comunque, non ci sarebbe stato tanto accanimento in caso di alleanza, l’ex pm risponde così: «Rivoluzione civile non è nata contro il Pd. Noi siamo avversari di quella parte dei democratici che vuole allearsi con Monti, un vetero democristiano pronto a saltare su tutte le zattere. Uno che un giorno vuole stare con il Pd, l’altro con il Pdl. Uno che promette di eliminare i provvedimenti che ha fatto lui stesso. Atteggiamento ipocrita, artificio e raggiro, truffa. Il Pd decida se stare con lui o contro di lui». 
Alessandro Trocino

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