Dati diversi sui partiti E subito comincia la «guerra dei sondaggi»

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ROMA — È scoppiata la «guerra dei sondaggi». Vincono, stravincono, rimontano, avanzano. Ognuno può scegliere il suo sondaggio e trovarvi un motivo di speranza. Ieri 25 gennaio, sono stati pubblicati, ad esempio, i sondaggi elettorali di Demos & Pi, e «la rimonta Pdl non c’è» più. La partita elettorale in qualche modo appare già  chiusa, visto che «la coalizione di centrosinistra è data al 38,1 alla Camera (il solo Pd al 33,5%) ben 12 punti sopra Pdl e Lega», mentre i centristi sono al 16,2 e Grillo-Cinque Stelle è a quota 13,0.
Ma ecco che subito la rimonta del Pdl torna con prepotenza, perché spesso i numeri tra un sondaggio e l’altro ballano e non solo perché i giorni di rilevamento sono sfalsati gli uni dagli altri. E così il partito di Berlusconi torna a sperare leggendo il sondaggio di SkyTg24, realizzato il 19 gennaio 2013 da Tecnè, secondo cui il centrosinistra è «solo» al 35,8%, il centrodestra al 26,5%, Monti al 15,2%, il Movimento Cinque Stelle al 14%, Rivoluzione civile al 4,8%.
E così, ancora al contrario, l’altro ieri, giovedì 24 gennaio, Demopolis per Otto e Mezzo vede sì davanti il centrosinistra, ma il Pd attestarsi addirittura sotto il 30% per la prima volta dalle primarie, la coalizione al 34,5% e il centrodestra che incalza al 27,5%.
Mentre la lista Monti è data in leggero incremento, a quota 11%, all’interno della sua stessa coalizione «quotata» al 16% (l’Udc di Casini 3,8% e Futuro e libertà  di Fini al 1,2%) dall’ultimo studio dell’Ipsos di Nando Pagnoncelli. Ipsos mostra invece il Pd al 33,1% e il Pdl al 17,8%. Stesso discorso per le coalizioni: il centrosinistra, è al 37,9%, Sel di Vendola al 4,8%, mentre il centrodestra si attesta al 25,4%, la Destra di Storace al 1,1%, la Lega di Maroni al 5,3% e Fratelli d’Italia di Meloni e Crosetto all’1,2%.
In quella che senz’altro si può già  definire la campagna elettorale più «americanizzata» della storia politica italiana, come è stato per Gallup e Roper negli States, agli italiani sono diventati familiari i nomi dei principali istituti demoscopici Euromedia research, Ipr, Ipsos, l’Ispo del professor Renato Mennheimer, Piepoli, Swg, e Tecnè, Demos, Demopolis.
Resta il fatto che i sondaggi vanno raccontati nel loro contesto e spiegando la metodologia con cui sono realizzati (interviste solo su telefoni fissi o anche cellulari, oppure via web?), senza trarne conseguenze assolute, relativizzando tutto. Ma anche, come spiega il politologo Roberto D’Alimonte, tenendo presente che «la graduatoria», il ranking, delle prime quattro posizioni è ormai «stabilizzato da tempo». «Questo è un dato certo: tutti i sondaggi — dice D’Alimonte — danno al primo posto il centrosinistra, secondo il centrodestra, poi la lista Monti e infine Grillo: non si è mai registrata un’inversione di queste posizioni». Quindi i sondaggi divergono solo in relazione alla «distanza», alla forbice tra questi gruppi principali.
Ma le differenze come si giustificano? Continua D’Alimonte: «Siamo ancora in una fase di grande fluidità , perché l’offerta politica non è del tutto chiara agli elettori: un esempio, quanti conoscono dove si collocherà  Gianpiero Samorì?» C’è poi un altro dato importantissimo: l’ampiezza della cosiddetta «area grigia». «Nel 2008 andò a votare l’80,3 per cento degli aventi diritto: la percentuale di quelli che non hanno ancora deciso se lo faranno il prossimo 24 febbraio — dice D’Alimonte — secondo me è molto maggiore. Ebbene, anche fosse solo il 20 per cento, ciò significa che sono incerti se votare o no tra i sette e gli otto milioni di elettori, un “partito” grande come il Pdl — ecco, dunque, l’ampiezza dell’area grigia stimata nei vari sondaggi – influenza inesorabilmente i risultati che si ottengono».
A differenza di quella dei Roses, la guerra dei polls finirà  ineluttabilmente, per legge, tra quindici giorni. Dal 9 febbraio sarà  infatti vietato pubblicare, per legge, i sondaggi perché si sa che influenzano i votanti, con due effetti opposti: il cosiddetto «effetto carrozzone» (tutti si «buttano» ad accrescere il consenso del supposto vincitore) o al contrario, ma in misura minore, l’«effetto perdente» (underdog), di chi vota, anche se non ne condivide l’impostazione, per il partito che è dato per sconfitto. Per simpatia.


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