Dal riciclo alla condivisione ecco come la Share Economy ribalta la cultura del consumo

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NEW YORK. UNA torta fatta in casa, squisita ma abbondante. O le conserve di pomodoro della nonna, troppe anche quelle. I vestiti usati, naturalmente. Quel regalo di Natale davvero inutile. Tutto si può riciclare, tutto si può rivendere. Meglio: condividere con altri.
NON solo per sbarazzarsene. La Share Economy, l’economia della condivisione, ribalta la cultura del consumo. Fin dalla sua concezione, non nasce come un gesto individuale. Ecco la definizione che ne dà  il Wall Street Journal: «Mercati di nicchia per tutte quelle cose o servizi che diventano economici se ci mettiamo insieme per usarli». Perfino i figli; cani e gatti. Davvero: chi ha detto che ci sia un solo modo per essere genitore, o amico degli animali, e cioè a tempo pieno?
La Share Economy ha avuto precursori che oggi assaporano il trionfo meritato dei pionieri. Per esempio Zipcar, la piccola azienda di San Francisco che inventò la condivisione dell’auto elettrica. Ben diversa dal vecchio concetto dell’autonoleggio, puramente mercantile, Zipcar creò uno spirito di comunità  fra i suoi seguaci, spesso ambientalisti. Un’idea avanzata grazie alla quale le auto vengono restituite in ottimo stato, curate amorevolmente, pulite a dovere, risparmiando sui costi di manutenzione di Avis o Hertz. Zipcar è stata un tale successo da attirare proprio Avis: se l’è comprata con un assegno da 500 milioni. Un altro pioniere del settore, Airbnb che inventò lo “scambio del posto-letto”, un vasto mercato online per affittare o più spesso “prestare” il divanoletto di casa al turista di passaggio con budget lowcost. Le disavventure (furti in casa o peggio) sono rimaste rarissime. Risultato: oggi Airbnb secondo le valutazioni del venture capital “pesa” 2,5 miliardi di dollari.
Le frontiere della Share Economy si allargano, la fantasia esplora soluzioni sempre più originali. E risolve per una quota della popolazione il problema del potere d’acquisto. I giovani, soprattutto, hanno risorse così limitate che la condivisione diventa una risposta alle loro croniche ristrettezze di bilancio.
L’importante è il marketing: non bisogna evocare penuria e risparmio forzato, bensì allegria, divertimento, esperienze comunitarie. Eatfeastly.com fa pensare appunto al “mangiare festosamente”, evoca banchetti d’altri tempi, Il Pranzo di Babette.
È un sito con cui potete riempire casa vostra di sconosciuti e far pagare a ciascuno una quota della spesa alimentare. Se si è tanti a tavola, il costo della singola porzione scende. Le regole le imponete voi, Eatfeastly prevede che «una mamma virtuale» (o papà ) stabilisca l’etichetta che gli invitati dovranno rispettare, oltre al conto da pagare. Yerdle.com si presenta come «il luogo magico dove condividiamo i nostri oggetti con gli amici». Più prosaicamente è un sito nato per riciclare roba che non ci serve. Esisteva già  eBay ma quello ormai è un business gigantesco, mentre la Share Economy ammette gli scambi occasionali e lascia ampio spazio al baratto. Come 99Dresses, dove i vostri abiti usati li scambiate con dei “bottoni” che sono in realtà  moneta di scambio per acquistare un giorno, se vorrete, altri vestiti.
Un po’ più delicati sono gli esperimenti in corso con gli esseri viventi. DogVacay nasce anzitutto come un sito per trovare il dog-sitter che a pagamento vi porta a spasso il cane mentre siete al lavoro. Ora si esplorano nuove possibilità : chi ama i cani, ma non è sicuro di potersi permettere la fatica di allevarne uno in casa, si propone come dog-sitter per avere il piacere della compagnia. A ore. E c’è chi ci prova perfino coi bambini. Anche qui la Share Economy apre orizzonti sconosciuti. I siti per trovare le babysitter ci sono da tempo, e insieme i software per controllare le referenze e filtrare i curriculum. Adesso si aggiunge il co-parenting, la ricerca di “genitori a tempo parziale”, che vogliano provare le gioie della maternità  e paternità . Senza esagerare.
Nuova opportunità  per il consumo frugale-ma-non-triste, l’economia della condivisione ha i suoi nemici. Il braccio della legge, per esempio: se invitate gente a casa, perché non dovreste subire gli stessi controlli igienici di un ristorante? C’è anche il sospetto che questo mondo del baratto sia una vasta zona di evasione fiscale. Ma il
Wall Street Journal preferisce le storie a lieto fine: a furia di affittare il sofà  di casa a sconosciuti e sconosciute di passaggio tramite Airbnb, c’è chi è finito non dall’agente delle imposte bensì davanti all’altare.


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