Dal ramo d’ulivo alla colomba così la non violenza lascia il segno
LONDRA. Si può dirlo con le parole: “La pace sia con te”, “Pace e bene”, “Fate la pace non fate la guerra”. Ma si può dirlo anche con le immagini: il ramoscello d’ulivo, la colomba, l’arcobaleno, il fucile con i fiori nella canna. E poi il segno che tutti conoscono per averlo visto sulle bandiere, sui muri, sui manifesti, il cerchio con dentro una riga verticale incrociata da due mezze diagonali. Ha tanti simboli, la pace, l’obiettivo che l’uomo da un lato rincorre dalla notte dei tempi, dall’altro fa di tutto per calpestare. Ma da dove vengono, come sono nati, cosa significano esattamente? Mentre si combatte in Mali e si rischia una nuova grande guerra in Medio oriente a causa del programma nucleare iraniano, mentre conflitti piccoli e grandi sconvolgono la quiete sociale delle nostre esistenze, un libro prova a rispondere a queste domande. In “Signs for peace: an impossible visual encyclopedia” (Segni di pace: un’enciclopedia visuale impossibile), il disegnatore grafico Ruedi Baur e sua moglie, la sociologa Vera Bauer Kockot, ripercorrono la storia degli emblemi del pacifismo, e di come si sono evoluti a seconda delle situazioni.
Tutto comincia con la mitologia greca, con la lotta tra Poseidone e Atena, lui con il tridente apre una fonte d’acqua salata sul terreno, lei risponde piantando un ulivo, l’albero rappresenta pace e prosperità . La dea ha la meglio grazie all’astensione di Zeus, dà il suo nome ad Atene, la città più grande della Grecia, e da quel momento il suo ulivo diventa il simulacro universale della pace. Beninteso, il merito non è solo di Atena: se la faccenda fosse finita lì, vedendo un ramoscello d’ulivo avremmo pensato solo alle olive e all’olio che se ne ricava in tutto il Mediterraneo. Ma fu adottato come simbolo di pace anche dall’Impero romano, Virgilio vi fa riferimento in tal senso nell’Eneide, mentre Eirene, la dea romana della pace, veniva spesso disegnata con un ramoscello in mano. La tradizione è rimasta fino al 1600, quando poeti e artisti lo usavano come motivo di pace, quindi è finito ad adornare varie monete, poi è apparso in innumerevoli contesti ufficiali, dal Gran Sigillo degli Stati Uniti nel 1782 alla bandiera delle Nazioni Unite nel 1946. Oggi chiunque sa cosa vuol dire passare di mano in mano un ramo d’ulivo.
E proprio il ramo d’ulivo ha introdotto un altro simbolo di pace: nel racconto biblico, la colomba che lascia l’Arca di Noè e poi torna per annunciare la fine del diluvio e l’inizio di una nuova era ne ha appunto uno in bocca. Il volatile ha dovuto attendere più a lungo per diventare sinonimo di pace: lo utilizzavano a questo scopo i primi movimenti pacifisti del 19esimo secolo. Ma la sua più famosa incarnazione è la colomba disegnata da Pablo Picasso tra il 1940 e gli anni Cinquanta, in una serie di poster per il Congresso mondiale della Pace. Di simboli ce ne sono tanti altri nelle pagine dell'”Enciclopedia Visuale”, dall’arcobaleno (in seguito diventato l’immagine del movimento gay) al “mettete dei fiori nei vostri cannoni”, ossia nelle canne dei fucili, inno degli hippie realizzato nella rivoluzione dei garofani in Portogallo nel 1975, fino a segni più religiosi, come gli angeli. Ma il più noto oggi, anche più di ulivo e colomba, è probabilmente il “segno di Holtom”, disegnato nel 1958 da un attivista disoccupato del movimento contro le armi nucleari, obiettore di coscienza e disegnatore, per conto della Campagna per il Disarmo nucleare, un’associazione pacifista inglese. Avevano dato l’incarico a lui, pensava di disegnare una croce ma ci furono obiezioni, non gli veniva un’altra idea, «ero disperato, assolutamente disperato», ricordava, «così disegnai me stesso, il rappresentante di un individuo preso da totale disperazione, con le braccia allargate come i condannati nella scena della fucilazione di Goya, formalizzai il disegno e lo misi dentro un cerchio». Ecco fatto. Si poteva leggere come una dichiarazione politica, perché quella linea verticale e le due diagonali erano i simboli delle lettere N e D nell’alfabeto semaforico, dunque significavano Nuclear Disarmament, Disarmo Nucleare. Altri hanno interpretato il simbolo come “la morte dell’uomo” e il cerchio come “il bambino mai nato”. Come che sia, il suo autore non mise alcun copyright al disegno, che ebbe un impatto memorabile, prima per la causa dell’anti-nucleare, poi per la pace in generale. Attraversò subito l’Atlantico, finì alle manifestazioni di Martin Luther King per i diritti civili dei neri americani, quindi alle proteste contro la guerra in Vietnam e da lì in avanti non si fermò più, apparve sulle strade di Praga invasa dai carri armati sovietici nel 1968, sul muro di Berlino, sulle tombe delle vittime delle dittature, dai colonnelli greci alla giunta argentina a Timor Est. Oggi è dappertutto.
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