Da Grasso alla Marzano: il leader e la squadra di governo
ROMA — «Saremo in grado di fare una maggioranza autosufficiente. Vinceremo sia alla Camera sia al Senato, nonostante Ingroia e il suo movimento, che non scelgono e quindi alla fine della festa rischiano di far vincere gli altri»: Pier Luigi Bersani parla con tranquillità e scandisce bene le parole, anzi le sillabe.
Il segretario del Partito democratico è convinto che la vittoria sia a portata di mano. E non sembra temere il risultato elettorale delle liste collegate a Monti: «Non raggiungeranno le due cifre». Sa che il premier ha messo in pista Albertini per stoppare il centrosinistra in Lombardia, ma è convinto che, quando si tratterà di recarsi alle urne, persino tra gli elettori di Ingroia scatterà la logica del voto utile, senza contare il fatto che in realtà alle regionali una lista del premier provocherà più benefici che guai al centrosinistra.
Il segretario del Partito democratico sta preparando la squadra del governo che verrà : già in campagna elettorale farà alcuni nomi, tanto per chiarire che il centrosinistra è — e sarà — in grado di governare. Pietro Grasso potrebbe essere l’uomo adatto per la poltrona di Guardasigilli. Carlo Dell’Aringa potrebbe aspirare al dicastero che oggi è occupato da Elsa Fornero. Maria Chiara Carrozza o Franco Cassano potrebbero occuparsi di Università e Ricerca. Mentre di Michela Marzano si parla già come del futuro ministro delle Pari opportunità .
Ma se si chiedono informazioni al largo del Nazareno le bocche restano cucite, anzi sigillate. E nel frattempo Bersani segue le mosse di Monti e si interroga sul motivo che ha spinto il presidente del Consiglio a scendere in campo (il segretario del Pd non vuole adottare i neologismi del premier). «In realtà è lui che a questo punto crea instabilità », sussurra Bersani. Che aggiunge: «Monti ha perso stile e misura. Ormai si dedica solo alla propaganda. E lo fa cercando di scaricare sui partiti che lo hanno sostenuto tutte le pecche e le magagne possibili: è il modo per dire che lui è sulla scena e che tutti lo voteranno».
È una previsione, questa, a cui Bersani non crede. Il segretario del Partito democratico è convinto che il presidente del Consiglio non si discosterà da quell’8,5-8,7, che i sondaggi commissionati riservatamente dal Pd gli attribuiscono. «Noi — continua a ripetere Bersani in queste giornate gravide di difficoltà e problemi — avremo i numeri sia alla Camera che al Senato. Solo dopo stabiliremo che tipo di rapporto creare con i moderati e con il centro». Già , che tipo di rapporto? Casini si è candidato al Senato nella speranza che nella prossima legislatura tocchi a lui l’onore — e l’onere — di ricoprire il ruolo di presidente del Senato. Tra i moderati nessuno prenderà una poltrona più importante, certamente non Monti che ormai non otterrà più i voti del Partito democratico per andare al Quirinale. Al Colle aspirano in tanti. Romano Prodi, a cui non sarebbe dispiaciuto concludere la carriera al Quirinale, ritiene di avere poche chance. L’ex presidente del Consiglio dell’Ulivo è convinto che la prossima guerra per la conquista della presidenza delle Repubblica, sarà lunga e difficile. E qualcuno sussurra il nome di Beppe Pisanu.
Bersani guarda al futuro, ma segue attentamente il presente. Le ultime sedute del comitato elettorale hanno dato un esito scontato. I futuribili candidati sono tutti rigorosamente bersaniani, se si escludono quelli delle correnti: Enrico Letta, Walter Veltroni e Dario Franceschini hanno ottenuto una decina di parlamentari a testa. Assai meno di quanti ne ha guadagnati Matteo Renzi, che tra palazzo Madama e Montecitorio ha guadagnato una cinquantina di parlamentari. Ne avrebbe potuti avere di più ma non era questo il suo scopo. Il sindaco di Firenze non vuole farsi una corrente, vuole solo un avamposto di fedelissimi a Roma, e per il resto ha deciso di aspettare tempi migliori: «Ci rimetteremo in moto».
Intanto Renzi gioca a fare il bravo soldato e prepara a Firenze una grande iniziativa da tenere con Bersani. Sarà la conferma dell’atteggiamento che ormai da tempo tiene il primo cittadino del capoluogo toscano: «Dimostrerò la mia coerenza e la mia lealtà ». Sono queste le carte che Renzi vuole giocarsi in futuro. Quindi niente dicastero, nessun posto a Roma e nessun compromesso con Bersani per ottenere qualche altra cosa. Il segretario andrà a palazzo Chigi e Renzi resterà a palazzo Vecchio. Lo aveva promesso e ha mantenuto la parola. Ma non ha mai detto di non volere la presidenza dell’Anci. Da sindaco di Firenze gli spetterebbe, se Graziano Del Rio si trasferisse al governo. Sarebbe una vetrina mediatica importante per Renzi. E sarebbe il modo per tenere un piede a Firenze e l’altro a Roma.
Maria Teresa Meli
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