“Corruzione, come la Bosnia e troppi pm in politica”

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ROMA — È una notizia che i magistrati parlino bene del governo e decisamente male dei colleghi che scendono in politica. Suprema corte. Aula Magna. Consueta cerimonia d’apertura dell’anno giudiziario (oggi si replica nei distretti). Solito parterre d’alte autorità , da Napolitano, a Monti, ai ministri, a scendere. Come dice il primo presidente della Cassazione Ernesto Lupo stavolta non c’è che augurarsi futuri «sforzi convergenti » della politica per curare il malato grave, la giustizia. Che dovrebbe essere in grande forma se, come rivelano le classifiche sulla propensione alla corruzione di Transparency International, l’Italia si colloca con la Bosnia al 72esimo posto nella «mortificante classifica». Dopo ci sono la Grecia e alcuni paesi dell’Est europeo.
Invece le cifre raccontano altro. Come ha già  documentato al Parlamento il Guardasigilli Paola Severino. Lupo ripiglia un dato, le 128mila prescrizioni che hanno fulminato altrettanti processi nel 2012, e invoca una legge che cambi le regole. Però dà  atto a Severino che sul taglio dei tribunalini e sulla legge anti-corruzione si è
mossa bene. Ha fatto quello che altri non avevano fatto. Lei incassa e ha parole di grande riconoscenza per Napolitano. Poi ammette che «con il tempo dato» ha fatto quello che poteva. Ancora s’indigna per la legge sulle misure alternative al carcere saltate, dice chiaro che sull’anti-corruzione, se avesse messo altro, sarebbe saltato tutto. Si allarga sulla famosa concussione per induzione: «La Corte mi dà  ragione». Ma non è proprio così. Lupo si congratula. Pure il procuratore generale Gianfranco Ciani lo fa. Il vice presidente del Csm Michele Vietti si spertica in lodi. Il ministro dell’Interno Anna Maria Cancelleri, seduta accanto, la sfiora col gomito e le dice «Ma hai sentito?».
Certo, non c’è Berlusconi, il feeling è possibile. Sono tutti contro le toghe candidate. Ingroia e Grasso. Soprattutto il primo. Mai nominato, s’intende. Ma è come se nei virgolettati ci fosse lui. Ecco Ciani, durissimo. (Da ricordare che il suo nome è finito nell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia perché dopo le telefonate Mancino-D’Ambrosio il Pg convoca Grasso per verificare la situazione del coordinamento delle indagini tra Palermo e Caltanissetta). C’è «incapacità  nel resistere alla lusinga dell’immagine». «La sovraesposizione del pm contribuisce al corto circuito mediatico- giudiziario». Napolitano «ha richiamato al dovere del riserbo, a evitare atteggiamenti protagonistici, personalistici, pubbliche dichiarazioni che possano essere ritenute manifestazioni di orientamento politico». Ciani sale di tono: «Dubbi destinati a rafforzarsi nel caso di diretta partecipazione alla competizione politica». «Intervenga il legislatore » s’augura. Pure una postilla: «Sarebbe opportuno evitare di avere rapporti privilegiati con una parte della stampa o solo con taluni giornalisti». La pensano tutti come lui, Lupo, Severino, Vietti, il presidente dell’Anm Rodolfo Maria Sabelli («C’è un diritto all’elettorato passivo, ma va garantita l’immagine di imparzialità  »), tutti vogliono una legge. Ingroia tace. Grasso pure. In verità  sull’anno giudiziario, per la prima volta, non si trova un commento politico.
Due fatti meritano una menzione. Il “decalogo” di Vietti, che molti indicano come il prossimo ministro della Giustizia. Dentro ci sono le misure alternative, la prescrizione lunga, intercettazioni segretate se dei terzi, pure la responsabilità  civile dei magistrati. Poi ancora un doppio richiamo di Ciani: custodia cautelare in carcere come «extrema ratio », non come «anticipazione della pena». Intercettazioni «limitate ai casi di assoluta indispensabilità  ed effettiva necessità  ». Gli avvocati fanno i bastian contrari. Il Cnf sempre contro i tribunalini, le Camere per la separazione delle carriere.


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