Come Saddam e Gheddafi evoca il caos dopo di lui

by Sergio Segio | 7 Gennaio 2013 7:22

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WASHINGTON — Saddam Hussein, il raìs di Tikrit. Muammar Gheddafi, il figlio del deserto. Bashar Assad, l’oftalmologo di Damasco. Tre leader diversi accomunati dall’incapacità  di accettare la realtà . Specie quando mette in discussione il loro potere assoluto. E dunque pronti ad andare oltre il ciglio del precipizio.
Il discorso del presidente siriano Bashar Assad segue il canovaccio degli altri dittatori. I nemici incalzano ma invece di trovare soluzioni vere i «monarchi» incitano alla lotta per arrivare ad una «vittoria» difficile da intuire. Assad liquida gli oppositori alla stregua di terroristi: «membri di Al Qaeda che si definiscono jihadisti». Categoria che ricorda le parole di Gheddafi, furioso con «topi e scarafaggi» legati al qaedismo. Bashar va anche oltre sostenendo che sono «nemici di Dio» che «finiranno all’Inferno». Frase che sembra copiata da un discorso di Saddam, nel 2003: «I loro morti andranno all’Inferno, i nostri caduti in Paradiso».
La linea del presidente siriano è quella dell’arroccamento. Psicologico e militare. Damasco e i centri principali vanno tenuti ad ogni costo, le basi più remote devono arrangiarsi da sole. Diverse, nel nord, sono sotto assedio da settimane, rifornite con difficili missioni degli elicotteri. Nell’est dilagano i qaedisti di Al Nusra. Il regime non ha forze disponibili per tenere l’intero territorio, inoltre ha commesso l’errore di sparpagliare mezzi corazzati e unità  allungando le linee. In questo modo si è esposto ai colpi degli insorti. Decine di blindati sono andati distrutti, interi depositi sono caduti, l’unica risposta è affidata all’aviazione, ai reparti scelti (IV divisione e Guardia repubblicana) e ai bombardamenti indiscriminati con tutto ciò che può lanciare. Dagli Scud alle mine navali.
I rovesci parziali non hanno però incrinato la fiducia di Assad che scommette sulle divisioni dell’opposizione e sulle paure dei cittadini. Molti non lo amano ma gli eccessi compiuti da alcune brigate ribelli — in particolare quelle jihadiste — hanno spaventato i «neutrali». Il presente è terribile, il futuro può essere ancora più nero. E allora Bashar gioca sulla guerra d’usura convinto che gli insorti non riusciranno, da soli, a conquistare Damasco. Si è anche parlato della possibilità  estrema di un ripiegamento nel Nordovest del Paese, in un ideale santuario alawita, la setta alla quale appartiene la nomenklatura siriana. Uno scenario, però, ritenuto poco probabile da molti osservatori. Il centro resta la capitale. Poi, domani, si vedrà . E per il momento sembra lontana l’idea che Assad accetti l’esilio. Usa, Turchia, Russia hanno lavorato a questa soluzione, ma alla fine Mosca ha fatto sapere che «è impossibile» convincere il leader a fare fagotto. È probabile che Assad sia spinto a tenere dagli iraniani che lo aiutano attraverso l’Iraq, anche se a Teheran pensano già  al dopo. Che potrebbe essere tumultuoso.
L’unico vero vantaggio rimasto ad Assad è la diffidenza della diplomazia verso l’opposizione, sempre disunita e con agende diverse. Il prolungamento del conflitto, sotto questo aspetto, è devastante. Più dura e più crescono le violenze, spesso settarie. Le vendette incrociate aumentano la sfiducia e minano la coesione. In tanti non escludono che le componenti più radicali possano prendere il sopravvento sull’ala pragmatica della resistenza. Se non altro perché le fazioni jihadiste (e qaediste) sono le meglio armate e dispongono di aiuti superiori. Inoltre sfruttano le indecisioni degli Occidentali, scottati dalle esperienze afghana e libica. Preoccupazioni che si estendono agli attori regionali.
Israele costruirà  una barriera sul Golan perché è convinto che i seguaci della Jihad in Siria prima o poi busseranno con le armi al confine. La Giordania vuole evitare il contagio. La Turchia conta su una parte dei ribelli per contenere le aspirazioni curde. L’Iraq sciita non è certo contento di vedere i sunniti al potere a Damasco. Ecco che allora la frammentazione che se, da un lato, distrugge l’unità  siriana e prospetta «pantani somali», dall’altro tiene in vita le ultime speranze di Assad. È debilitato ma non sconfitto, crede di essere indispensabile, «fuso» in un sistema garantito dal passaggio dei poteri di padre in figlio. E dunque capace di durare fintanto che ci sarà  uno del clan.
Il presidente, nei suoi discorsi, denuncia il caos, la minaccia degli estremisti, la distruzione degli equilibri. Bashar contrappone la «tristezza di oggi» alla stabilità  di ieri, offre ai suoi la restaurazione attraverso la forza. Un percorso che però ha come ultima casella il martirio. Saddam lo evocava nei giorni dell’invasione americana. Gheddafi lo prometteva durante i raid. E alla fine lo hanno avuto. Assad potrebbe essere il prossimo. Cosa sarà  della Siria nessuno è in grado di dirlo.
Guido Olimpio

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