Clini ai pm: sbloccate gli impianti o si chiude

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TARANTO. La notizia peggiore arriva al termine della lunga giornata che ha visto il ministro dell’Ambiente Corrado Clini a Taranto. Se la situazione dell’Ilva non si sblocca nel giro di pochi giorni, l’azienda annuncerà  il ricorso alla cassa integrazione per 7-8mila lavoratori dello stabilimento di Taranto. A darne notizia è stato lo stesso ministro Clini al termine dell’incontro pomeridiano che si é svolto in Prefettura. Per questo motivo, l’incontro previsto in un primo momento per oggi tra azienda e sindacati, è stato rinviato: nelle prossime ore è previsto un nuovo vertice tra governo e azienda «per capire quali spazi e margini ha l’Ilva per riprendere la produzione» che in realtà  non si è mai fermata, e «in che misura l’azienda può far fronte alle prescrizioni dell’Aia visto che sono diffuse le preoccupazioni che la stessa azienda possa non farcela» ha ammesso lo stesso Clini.
La giornata del ministro è iniziata molto presto, con l’arrivo all’Ilva alle 7 del mattino, in un’azienda presidiata da forze dell’ordine e dalla Digos. Nella mattinata il ministro ha tenuto una riunione alla quale hanno partecipato il sottosegretario alla Sviluppo economico Claudio De Vincenti, il garante per l’attuazione dell’AIA Vitaliano Esposito, il commissario per il risanamento ambientale dell’area di Taranto Alfio Pini, il presidente del siderurgico Bruno Ferrante e il direttore dello stabilimento Adolfo Buffo. Presenti inoltre il prefetto di Taranto Claudio Sammartino, il questore Vincenzo Mangini, i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, l’assessore provinciale all’Ambiente Giampiero Mancarelli. Nell’incontro con la stampa al termine della riunione, Clini ha ribadito con forza la linea del governo: l’Ilva deve continuare a produrre per garantire gli investimenti necessari all’ottemperanza delle prescrizioni previste dall’Aia. Da questo concetto, secondo il ministro, non si può prescindere. Per questo l’esecutivo ha varato la legge 231: per restituire all’Ilva gli impianti dell’area a caldo e il materiale prodotto nonostante fosse in atto il sequestro senza facoltà  d’uso. Non la pensano allo stesso modo il gip Patrizia Todisco e i pm titolari dell’inchiesta per disastro ambientale. Per i quali gli impianti dell’area a caldo, che con le loro emissioni generano fenomeni di malattia e morte come dimostrato dalla perizia degli esperti epidemiologi, devono essere fermati e risanati: soltanto in un secondo momento, quindi, potrà  riprendere la produzione. Ma il governo non ci sta: se l’Ilva smette di produrre esce dal mercato, creando danni enormi a tutta la filiera dell’economia meccanica italiana. Per questo, prima dell’incontro pomeridiano, in prefettura c’è stato un incontro tra il ministro Clini, il procuratore capo della Repubblica di Taranto Franco Sebastio e il procuratore generale della Corte d’Appello di Lecce, Giuseppe Vignola. Il quale, al termine dell’incontro, ha dichiarato che la magistratura sta applicando la legge» e soprattutto che «di dissequestro non se ne parla». Poco prima infatti, la Procura di Taranto aveva bocciato l’ultima istanza presentata dall’Ilva ieri mattina, nella quale si chiedeva il dissequestro del prodotto con la promessa che il miliardo sarebbe stato utilizzato per pagare gli stipendi ai lavoratori e per rispettare le prescrizioni presenti nell’Aia, sottoponendo tali investimenti al controllo del Garante per l’attuazione dell’Aia Vitaliano Esposito. Il parere negativo è stato motivato dal fatto che non vi sono elementi nuovi che permettano di cambiare la situazione. Inoltre, ogni decisione sul sequestro dell’acciaio, è stata sospesa dai magistrati in attesa del pronunciamento della Corte Costituzionale sui profili di incostituzionalità  sollevati dalla procura ionica sulla legge 231, detta «salva-Ilva». Nonostante ciò, nelle ultime ore sono state avanzate diverse ipotesi che difficilmente troveranno attuazione. L’ipotesi al momento più accreditata prevede di spostare su somme di danaro o su un deposito cauzionale il blocco dei prodotti finiti e semilavorati dell’Ilva sottoposti a sequestro dal 26 novembre. Lo sblocco dei prodotti riguarderebbe almeno la merce deteriorabile.


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