Città  della Salute, l’utopia della cura si sposa col business del mattone

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MILANO. Per Renzo Piano, architetto di fama mondiale, è quasi un sogno: «Credo che presto potremmo cominciare il cantiere e sarà  uno dei più belli della mia vita». Per la giunta plurinquisita di Roberto Formigoni, invece, si tratta dell’ultima operazione di rilievo in tema di sanità : è l’accordo appena firmato con il comune di Sesto San Giovanni e l’immobiliare di Davide Rizzi per la cessione dell’area ex Falck alla Regione Lombardia. Su quello spazio sorgerà  la «Città  della Salute», un progetto faraonico dove verranno integrati l’Istituto Nazionale dei Tumori e l’Istituto Neurologico Besta. Costo previsto: 450 milioni. Il cantiere durerà  5 anni, il primo servirà  per bonificare l’area inquinata dai residui delle acciaierie. Nei desiderata dell’architetto Piano ci saranno anche 10 mila alberi e un orto per produrre ortaggi e frutta.
Forse non c’è progetto più significativo per dare l’idea di cosa sia stato il modello formigoniano applicato alla sanità  e all’edilizia in Lombardia, una riuscita commistione tra eccellenza scientifica, business del mattone e ambigue connivenze politiche (il centrosinistra di Sesto, città  di Penati, inquisito per presunte tangenti relative proprio all’area ex Falck, è sempre stato favorevole al progetto). Ma è tutto oro quel che luccica?
Sembrerebbe di no, almeno stando alle osservazioni degli ambientalisti di Salviamo il Paesaggio che con l’aiuto di architetti e medici hanno dissezionato alcuni «nonsense» sanitari, economici e ambientali: «E’ uno spreco di soldi pubblici, su un approccio obsoleto», ha detto l’ex direttore sanitario del Besta Alberto Maspero. Grazie alle nuove tecnologie delle neuroscienze, ha spiegato, i tempi di degenza sono più limitati e quindi invece delle due torri previste per il Besta (225 milioni) basterebbe una palazzina piena di sale operatorie. Dunque, l’opera è sovradimensionata e toglierebbe risorse all’acquisto di tecnologie. Ancora più critico Paolo Crosignani, direttore dell’area epidemiologia dell’Istituto dei Tumori: «Quei 450 milioni – ha detto ad un convegno – non saranno fondi graziosamente elargiti dalla Regione, al contrario saranno messi a debito sui bilanci degli istituti che quindi potranno fare meno investimenti, alla fine l’operazione si tradurrà  in una ferita alla sanità . Siamo sotto la scure dei tagli, in queste condizioni dovremmo indebitarci per fare edilizia?». Per non parlare di un parco dimezzato per fare posto alle quattro torri previste (da 400 a 200 mila mq) e di tutta un’altra serie di riserve su cui dovrà  riflettere il nuovo presidente. Né Maroni né Ambrosoli hanno qualcosa da ridire.


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