by Sergio Segio | 6 Gennaio 2013 8:30
Il repressore delle libertà civili del suo popolo, lo zar impietoso che manda in galera le Pussy Riot e fa mettere sotto inchiesta gli oppositori, l’uomo che dal Cremlino detta le sentenze dei tribunali, l’amico di Assad, oppure il divo della politica che nella classifica
di Foreign Policy precede Obama e Merkel, il leader che ha salvato lo Stato russo dalla disgregazione e ha elevato il livello di vita della società ?
Oppure Putin è il riformatore nazional-popolare tanto furbo da strappare a Gérard Depardieu, in cambio del passaporto taglia-tasse, un pubblico inno alla democrazia made in Russia?
Vladimir Putin sfugge alle definizioni facili perché è tutte queste cose insieme. Ma se i bilanci e le previsioni che riguardano il capo del Cremlino risultano ardui oggi quanto lo erano in passato, gli eredi della sovietologia non hanno per questo abbandonato il campo. E hanno prodotto, nelle ultime settimane, una analisi sorprendente: proprio ora che il rumoroso dissenso delle classi medie urbane è stato almeno in parte piegato, proprio ora che in Russia la produzione e l’esportazione di idrocarburi batte tutti i record, Putin rischia fortemente di giocarsi la rielezione nel 2018 e persino di non terminare i sei anni dell’attuale mandato presidenziale.
Per capire, bisogna pensare alla natura degli avversari che Putin ha avuto e verosimilmente avrà . Tra le elezioni legislative del dicembre 2011 e quelle presidenziali del marzo 2012 parve a qualcuno che una «primavera» stesse per investire la fortezza Russia. Non era così, beninteso, perché la Piazza Rossa è ancora lontana da Piazza Tahrir. Ma le folle oceaniche che a Mosca e a San Pietroburgo manifestavano contro i brogli del regime (sicuri, benché non determinanti) segnalavano un inedito risveglio del tessuto sociale, il primo manifestarsi unitario di una classe media ormai benestante e padrona di Internet, una svolta, insomma, rispetto alla vecchia passività ereditata dall’Urss. Il messaggio arrivò al Cremlino forte e chiaro. E nei mesi seguenti alla sua elezione Putin reagì come era prevedibile che reagisse: con durezza, con nuove leggi liberticide, e contemporaneamente con accenni riformatori e nuove promesse di benessere. La fortezza alzava il ponte levatoio e all’interno consumava i suoi scandali, a cominciare dalla morte in carcere del giurista Sergei Magnitsky che ha dato origine a uno scambio di leggi da Guerra fredda tra Mosca e Washington. Assai meno insidioso per Putin è stato il caso delle Pussy Riot, che dall’altare della cattedrale chiesero alla Madonna l’allontanamento del presidente-dittatore: all’interno della Russia quella esibizione indebolì l’opposizione contagiandola con i suoi eccessi, e rafforzò il potere che potè identificarsi con l’indignazione della vasta platea ortodossa. Ingrato, Putin fece infliggere alle ragazze punk una condanna eccessiva. E così, con poche carote e molti bastoni, il potere costituito è riuscito pian piano non ad eliminare l’irrequietezza della classe media, ma a circoscriverla, a domarla.
I dati sulla produzione energetica (più 1,3 per cento rispetto al primato del 2011) consentiranno ora a Putin di distribuire qualche altro dividendo alla società . Ma l’ex colonnello del Kgb è abituato a guardare avanti. Ed è lì, in un futuro non lontano, che si profilano per lui le insidie più gravi. Nelle alte sfere del potere, più che nelle piazze. Nel breve termine l’economia russa viene trainata dalla esportazione degli idrocarburi, dal terziario e dai consumi interni tornati in crescita nelle fasce sociali che possono permettersi di spendere. Ma nel medio, e ancor più nel lungo termine, gli orizzonti dell’economia russa sono oscurati da una serie di problemi. Primo, la demografia. I programmi varati dal Cremlino hanno prodotto quest’anno un lievissimo saldo attivo tra nascite e decessi, ma nell’ultimo ventennio la popolazione russa (140 milioni di anime) è calata del 4 per cento, e gli esperti prevedono che il ciclo tornerà fortemente negativo tra pochi anni. È facile immaginare le conseguenze di questo stato di cose sulla forza lavoro. Secondo, la fuga dei capitali. Settantacinque miliardi di dollari nell’ultimo anno, in aumento. Terzo, la sfida energetica in arrivo con l’avvento dello «shale gas» che trasformerà gli Usa in esportatori e ridurrà il mercato della Russia, ancora aggrappata ai suoi vecchi giacimenti dei tempi sovietici.
Conclusione: se non vuole avviarsi verso un disastro economico la Russia deve capovolgere la sua de-industrializzazione che dura da decenni, e deve altresì ottenere quella tecnologia avanzata che le è necessaria per aprire e sfruttare nuovi giacimenti, oggi in Siberia e domani nell’Artico. Ma la tecnologia energetica non viaggia senza fiducia e colossali investimenti, e lo stesso dicasi per la rifondazione di una struttura produttiva diversificata. Chi può offrire quel che serve a Mosca? Con la Cina prudente e il Giappone bloccato dal contenzioso delle isole Curili, Putin non può che sperare in un Occidente uscito dalle sue difficoltà . Ma l’Occidente non si fida della Russia di oggi, vuole la certezza del diritto, non vuole essere taglieggiato. Ed è per questo, per rassicurare i potenziali investitori, che Putin ha da poco aperto una clamorosa campagna anticorruzione.
Il primo a lasciarci le penne è stato il ministro della Difesa Serdyukov, ma i problemi di Putin non riguardano questo o quel siluramento illustre. Riguardano le pedine del suo potere, coloro che lo hanno sostenuto e lo sostengono, quanti hanno reso possibili le sue tre presidenze. Non tutti sono corrotti, beninteso. Ma dichiarare guerra alla corruzione in Russia significa dichiarare guerra all’insieme della burocrazia statale, a gran parte di quei siloviki, ex agenti dei servizi poi diventati manager pubblici, a quasi tutti gli oligarchi grandi e piccoli che hanno fatto le loro fortune in modo non troppo trasparente. Ai grandi elettori, insomma, di Putin.
Il presidente può perdere in due modi, dicono alcuni osservatori moscoviti: senza far nulla contro la corruzione, e allora non avrà gli investimenti; oppure colpendo la corruzione, e allora gli verrà meno il terreno politico sotto i piedi. Il capo del Cremlino sembra aver scelto la sfida contenuta nella seconda opzione, quella di prendere di petto il suo stesso clan di potere. Auguri, anche se pochi credono che Putin vincerà .
Franco Venturini
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