Cà‰LINE, LE LETTERE DELLA VERGOGNA

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Il fatto è noto. Il dottor Louis-Ferdinand Destouches, in arte Céline, uno di quelli che hanno veramente cambiato la letteratura nel Novecento, dopo aver pubblicato i suoi primi due capolavori sforna tra il 1937 e il ’41 tre esplosivi e obbrobriosi pamphlet (Bagatelle per un massacro, La scuola dei cadaveri e La bella rogna) nei quali riversa quel suo livore per l’universo mondo che i romanzi avevano già  lasciato intravedere, ma velato dietro una scrittura struggente e talvolta addirittura lirica. Quello che, però, nei pamphlet esplode è soprattutto un insanabile furore che ha per bersaglio gli ebrei, visti come gli artefici di una cospirazione mondiale che mira al controllo dell’economia e della politica, e disegnati utilizzando tutto il corollario di luoghi comuni e insulti elaborato da secoli di antisemitismo. Fatto, questo, che era costato allo scrittore una condanna a morte in contumacia da parte della Resistenza, l’indegnità  nazionale, un ostracismo durato decenni, e – per arrivare a oggi – la cancellazione di ogni celebrazione ufficiale per i cinquant’anni dalla sua morte.
Com’è ugualmente noto, mentre il Tribunale di Parigi decideva del suo destino, Céline aveva sempre sdegnosamente negato ogni attiva partecipazione al regime filonazista del maresciallo Pétain, insediatosi dopo l’occupazione tedesca della Francia (negando anche – e qui stava davvero esagerando – il carattere antisemita dei pamphlet), escludendo categoricamente di aver «mai scritto un articolo su un giornale». Non erano infatti articoli. Erano lettere. Pubblicate ora per la prima volta in italiano, insieme a quell’autodifesa lievemente menzognera: Céline ci scrive (sottotitolo: Le lettere di Louis-Ferdinand Céline alla stampa collaborazionista francese, 1940-1944, Edizioni Settimo Sigillo, 240 pagine, 25 euro).
In una trentina di missive, uscite sui peggiori periodici filonazisti (per la maggior parte foraggiati dagli occupanti) accanto a becere vignette antisemite, Céline riprende motivi sviluppati nei pamphlet, anzi talvolta ad essi rimanda, infastidito dal doversi ripetere, come quando – rispondendo a un’inchiesta dell’Appel sul tema «Bisogna sterminare gli ebrei?» – scrive: «Ne ho abbastanza di ritornare sulla questione ebraica. Tre libri categorici bastano, credo». Una delirante “logorrea antisemita” ripropone il già  noto: la minaccia ebraica e la loro bassezza morale («gli ebrei sono responsabili della guerra, o no?»), la flaccidità  del governo di Vichy («capo conigliera dei letamai ebrei») e la debolezza degli antirazzisti francesi, per cui una lettera lamenta «il sabotaggio sistematico del razzismo in Francia per mano degli stessi antisemiti. Per giungere, infine, a suggerire nel settembre del ’42 (quando sono già  cominciate le deportazioni di ebrei dalla Francia e le SS hanno sostituito l’esercito a Parigi) che la Francia venga divisa in una zona ariana al Nord («lavoratrice e razzista») e una al Sud, in mano agli ebrei. Ma è davvero troppo e la rivista preferisce censurare il suggerimento.
La posizione di Céline nei circoli collaborazionisti è infatti quella di un estremista isolato. Robert Brasillach – collaborazionista poi fucilato – scrive nel ’38 dei suoi libelli: «Se ragionassi come lui potrei affermare che quest’opera è stata scritta da un certo Celinemann, detto Céline, col fine di mettere in cattiva luce gli antisemiti». Al percorso “politico” di Céline di quegli anni è dedicato il documentatissimo volume di Francesco Germinario, Céline. Letteratura politica e antisemitismo (Utet, 157 pagine, 16 euro), che spiega come – in un clima di latente antisemitismo risvegliato in Francia dalla vittoria elettorale del Fronte Popolare nel ’36 – la tesi del cospirazionismo ebraico permette allo scrittore di «fuoriuscire dal quadro di disperata impoliticità  che aveva caratterizzato i romanzi dell’esordio», convinto com’era che la rinascita della nazione dovesse necessariamente passare attraverso quella «rinascita in senso razziale» messa ferocemente in opera dal nazismo. Incomprensibile Céline, che negli stessi giorni riutilizza le minute di quelle stesse lettere per scriverci sul retro Guignol’s Band, lo splendido romanzo della sua prima rinascita!


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