C’È UN PAESE CHE NON S’ARRENDE

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E sì, perché la recessione non equivale a una caduta verticale delle attività , anche questa volta è un mutamento di pelle che, rispetto al passato, sconta in vari settori un arretramento più secco e una drastica contrazione dell’offerta. Lo stesso documento della Banca d’Italia, ad esempio, riconosce la straordinaria vitalità  delle nostre aziende esportatrici, che tra l’altro stanno animando una discreta campagna di acquisizioni all’estero. Troppo spesso dimentichiamo che a fare la differenza tra i tedeschi e noi, più che la qualità  del prodotto industriale, è l’efficienza della catena distributiva. E purtroppo noi italiani, salvo qualche lodevole eccezione, in logistica e vendita al dettaglio non siamo mai stati tra i primi della classe.
Interpretare il mutamento di pelle è sempre un esercizio difficile ma ci sono episodi che in qualche modo vanno colti perché possono segnare la transizione. Uno di questi è lo sbarco a Sassuolo del colosso americano Mohawk che ha comprato la Marazzi. Quello emiliano della ceramica è il fratello maggiore dei distretti del made in Italy e le dinamiche che lo coinvolgono sono anticipatrici. Sarà  dunque interessante vedere come l’arrivo americano rimodulerà  i rapporti, spingerà  o meno i Piccoli a mettersi assieme, aprirà  magari nuove opportunità  di collaborazione finalizzate ai mercati terzi. Il cambiamento vede protagoniste anche diverse multinazionali che operano da tempo in Italia, si sono radicate e in qualche modo ibridate. I loro country manager sono degli alleati che qualsiasi governo dovrebbe cercare di portare dalla sua/nostra parte affinché si stabiliscano in Italia nuove localizzazioni produttive e affluiscano risorse per gli investimenti necessari a globalizzare i nostri marchi.
Dove il mutamento di pelle fatica a venir fuori è il mercato interno, troppo debole perché ci possano essere prospettive rosee per le piccole imprese che non esportano e di conseguenza per i livelli occupazionali che hanno garantito finora. Allora i dossier da prendere in mano subito — prima delle urne — possono essere anche solo due: la filiera dell’edilizia e i pagamenti pregressi della pubblica amministrazione. Nel primo caso è stato annunciato un tavolo per monitorare la concessione dei mutui alle famiglie. In quella sede per sostenere la domanda di abitazioni si dovrà  valutare l’ipotesi di tornare alla tradizione delle cartelle fondiarie sottoscritte in una prima fase da investitori istituzionali, magari a partire dalla Cassa depositi e prestiti. Quanto ai pagamenti siamo ancora in fase di stallo perché troppe pubbliche amministrazioni, comprese alcune Procure della Repubblica, non hanno i soldi per pagare e le banche faticano a scontare i crediti pur perfettamente certificati. Ma non si può lasciare che tutto marcisca.


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