Bruciati dalla metafisica del concreto

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Un pregiudizio si è annidato nel centro-sinistra italiano e soprattutto nel maggiore dei partiti che la rappresentano, il Partito democratico. Un pregiudizio anticomunicativo, antimediologico, sin quasi antitecnologico. Un pregiudizio che è emerso in contrapposizione tanto alla sbornia mediatica propinata dal berlusconismo quanto in contrappasso a una affannosa ricorsa comunicativa da parte di una sinistra cosiddetta «liquida». Un pregiudizio che si coglie in affermazioni e comportamenti di Pier Luigi Bersani: nella sua avversione alla televisione come strumento principe della personalizzazione della politica; nella sua opposizione tra comunicazione e economia reale; nelle sue formule come «la comunicazione non rende l’acqua vino»; nelle sue definizioni della Rete come «ambaradan» o «tabernacolo».
Ora queste denunce e rinunce manifeste e continue da parte di Bersani del demone comunicazione sono a loro volta, con ogni probabilità , frutto di una sapiente strategia comunicativa. Ma esprimono una koinè ormai diffusa in quella che è la cultura della sinistra italiana al tempo presente. Il nuovo realismo ispirato da Maurizio Ferraris si propone come filosofia del Partito democratico (Quale filosofia per il Partito democratico e la sinistra, a cura di Luca Taddio, Mimesis) e lo fa in nome di un ritorno alle cose, alla materialità  dell’esistenza, alla concretezza dei fatti, di contro alla virtualità , all’immaterialità , alle interpretazioni effimere che i media condensano in sé. Con il rischio di proporre una sorta di metafisica del concreto, Ferraris ha preso distanza dal postmodernismo, ma senza mai negare una certa attenzione ai media (telefonino e iPad sono stati suoi recenti oggetti di riflessione), un’attenzione che bonariamente potremmo qualificare come critica.
Oltre si spingono invece altri centri della cultura della sinistra riformista. Non solo denunciano i rischi legati ai media, ma indicano questi ultimi come causa prima della crisi politica attuale ovvero della decadenza dell’idea stessa di partito. Così, per esempio, già  qualche anno fa Ferruccio Capelli, direttore della Casa della Cultura di Milano, denunciava sin dal titolo di un suo lavoro la deriva verso una sinistra brillante ma leggera, una Sinistra light (Guerini e Associati), e la imputava senza esitazioni all’inseguimento del demone comunicativo. E Michele Prospero, gravitante intorno al romano Centro per la Riforma dello Stato, nel suo Il partito politico (Carocci), istituisce una sorta di contrapposizione senza appello tra partito e media, imputando alla centralità  dei media il venir meno dell’orizzonte ideale e della struttura organizzativa dei partiti di massa.
Ora questa percorsa dagli intellettuali della sinistra nostrana è una strada senza uscita. Intanto, si riducono processi complessi a causalità  lineari, innalzando di fatto a causa unica dei processi politici contemporanei quello che per lo stesso Marshall McLuhan era solo uno dei fattori del mutamento sociale. Relegando così a un secondo piano altri importanti fattori che hanno avuto un forte impatto sulla ridefinizione dei partiti politici negli ultimi decenni: crisi del welfare state, globalizzazione dell’economia, limiti degli stati-nazione. Inoltre, dei media viene predicato una sorta di onnipotenza nell’alterare il gioco politico. Insomma, chi oggi si accanisce a denunciare i media spesso mostra una visione deterministica che neanche gli apologeti più accaniti della comunicazione si sognano di proporre.
Ma siamo sicuri che questa storia del rapporto tra media e sinistra debba svolgersi o con affannose ma vane rincorse o con nette scomuniche? Probabilmente qui si paga un retaggio storico pesante: i media sono mera sovrastruttura, riguardano i desideri superficiali e non i bisogni profondi, rappresentano una sorta di oppio dei popoli. Eppure proprio a questo riguardo il buon vecchio Karl Marx, soprattutto in tempi in cui si nota un rinnovato interesse per il suo pensiero, potrebbe insegnare qualcosa alla sinistra italiana.
Il filosofo di Treviri non ha mai mancato di porre attenzione alle tecnologie, senza mai cadere in qualche sorta di determinismo tecnologico. La sua attenzione non era tanto posta sulle gazzette (i mezzi di comunicazione del suo tempo) quanto sui mezzi di produzione del XIX secolo. Ma oggi sarebbe attento alle macchine a vapore o ai flussi di informazione? Attento alla catena di produzione o alla catena del valore? E ancora prima, attento alla recinzione delle terre incolte o ai brevetti e ai copyright sui saperi comuni? Insomma, le tecnologie di comunicazione rappresentano la struttura della nostra epoca e non possono essere messe a margine di un progetto politico. E un progetto di sinistra dovrebbe individuare proprio in queste tecnologie il nuovo campo della lotta per l’emancipazione.
Questa è la realtà  dell’economia del tempo presente e il primo insegnamento di Marx è quello di vedere «sotto e dietro» la superficie, anche andando al di là  di consolidati pregiudizi. Accanirsi contro la comunicazione non porta da nessuna parte. Saper essere all’altezza delle sfide che le tecnologie di comunicazione pongono significa invece rilanciare davvero la Politica nel tempo presente. Queste sono sfide da affrontare per disegnare un orizzonte politico e dunque in primo luogo per realizzare una decisa azione di governo


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