Aumento dei salari ai minimi da 30 anni l’inflazione ormai corre il doppio
ROMA – Non c’è stata solo l’Imu a massacrare i bilanci del 2012, a far rotolare in basso il potere d’acquisto delle famiglie è stato anche il divario fra andamento delle buste paga e inflazione. All’aumento dell’1,5 per cento delle prime ha corrisposto una crescita del livello dei prezzi esattamente doppia, del 3 per cento. Un gap così alto non si vedeva dal 1995 e gli effetti di questo quadro a perdere, fa notare l’Istat, hanno prodotto anche un vistoso calo nella fiducia delle famiglie: siamo tornati ai minimi del 1996. Ma a vedere nero quanto ad entrate e prospettive non è solo il fronte dei dipendenti, altrettanto preoccupate sono le piccole imprese che ieri, per protestare contro la mancata attenzione della politica al loro settore, sono scese in piazza in un’ottantina di città .
I confronti con il passato sono impietosi: per trovare un aumento così basso della retribuzione oraria media bisogna fare un salto indietro di trent’anni, al 1983. Sul dato, sottolinea l’Istat, hanno pesato i ritardi nei rinnovi contrattuali: alla fine del 2012 ne sono scaduti 32, di cui 16 nella pubblica amministrazione e i lavoratori ora in attesa di nuovi accordi sono 3,7 milioni, il 28,4 per cento del totale dei dipendenti. I ritardi sono pesanti (in media più di tre anni) e la situazione, per i sindacati, è inaccettabile. Per Susanna Camusso la traduzione dei dati Istat è una sola: «Il Paese si sta impoverendo». «Il quadro salariale è l’emergenza – concorda Bonanni della Cisl – serve un nuovo patto sociale, come si fece nel 1992». Analisi con la quale combaciano in pieno le stime fatte dalle associazioni dei consumatori: «il potere d’acquisto è in calo del 13,3 per cento – precisano Adusbef e Federconsumatori – in un anno le famiglie hanno perso 540 euro». Valutazione simile dal Codacons, che calcola la caduta del reddito reale in 524 euro annui medi.
Eppure, a detta di Confindustria, la svolta potrebbe essere dietro l’angolo. Il Centro studi dell’associazione guidata da Squinzi è infatti convinto che l’economia italiana stia «toccando il fondo della dura recessione, la seconda in cinque anni» e che si siano delineando «i presupposti di un rimbalzo che può dare avvio alla ripresa». Condizione essenziale – sottolineano però gli industriali – è che «l’esito delle imminenti elezioni dia al Paese una maggioranza solida, che abbia come priorità le riforme e la crescita».
La politica, dunque, dovrà guidare l’inversione di tendenza: un punto sul quale sono d’accordo anche i «piccoli» imprenditori rappresentati da Rete imprese. Ieri Confcommercio, Confesercenti, Confartigianato, Cna e Casartigiani, hanno occupato le piazze, come mai fatto in campagna elettorale, per presentare la loro «agenda». Un punto su tutti: «no all’aumento dell’Iva a luglio». Questione sulla quale sono in totale disaccordo con i «cugini grandi». Confindustria considera infatti l’aumento della aliquota un mezzo per finanziare le riforme.
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