Attacchi e subito retromarce L’uomo della «lettera all’Italia»
BRUXELLES — Nel suo ufficio di vicepresidente della Commissione europea Antonio Tajani, berlusconiano della prima ora, ha da poco diffuso il comunicato in cui si «dissocia» dalle critiche del suo collega Olli Rehn alle politiche di bilancio del governo di Silvio Berlusconi. Sul suo terminale scorrono le agenzie di stampa che rilanciano le richieste di dimissioni di Rehn e di una commissione europarlamentare d’inchiesta sull’interferenza nella campagna elettorale italiana, prodotte a raffica da esponenti del Pdl a Bruxelles e a Roma.
Perfino Mario Mauro, dimessosi da capogruppo degli eurodeputati del Pdl per passare con il premier Mario Monti, ha criticato l’inopportunità dell’intervento sull’Italia ricordando che «le dichiarazioni dei commissari devono essere rese nell’ambito del loro ruolo di guardiani dei trattati europei». Ma Tajani ha invitato ad aspettare «cosa dirà tra poco, come al solito, Rehn». Che, puntualmente, ha poi cercato di raffreddare tutto facendo sapere dal portavoce di «non aver commentato sull’argomento nel contesto della campagna elettorale per le elezioni in Italia».
Finlandese, 50 anni, ex calciatore ed ex presidente della federazione calcistica del suo Paese, Rehn ha spesso il problema di dover correggere le sue dichiarazioni. Per migliorare iniziò a organizzare incontri segreti con giornalisti nella sauna interna del palazzo Berlaymont, sede della Commissione, imponendo il dress code (regole di abbigliamento) alla finlandese (niente da coprire). Quando il Corriere li rivelò, si trovò ancora più spiazzato. Sostenne che con la sauna intendeva diffondere usi e costumi del suo Paese. Ma non seppe spiegare perché, allora, quegli incontri li teneva riservati.
Rehn diventa ad alto rischio di gaffe quando interviene sulla situazione economica dell’Italia nel suo ruolo di responsabile Ue per gli Affari economici e monetari. Basta ricordare la sua audizione parlamentare a Roma nel dicembre 2010. Quasi a braccetto con l’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti, affermò che «in Italia la crisi è stata gestita bene, la situazione si è deteriorata meno di altri Paesi europei e le previsioni sono per un ritorno a una situazione pre-crisi entro il 2012». Il quotidiano economico Sole24ore parlò di «elogi pubblici di Rehn alla politica economica del ministro Tremonti», che gongolò anche per l’esclusione della necessità di manovre aggiuntive. Ma, alcuni mesi dopo, il commissario finlandese inviò al governo Berlusconi la famosa lettera da cui sembrava che l’Italia stesse mettendo a rischio l’intera eurozona: tanto da rendere necessari «interventi aggiuntivi». Naturalmente, dopo i clamori mediatici, il commissario finlandese fece smentire la portata della sua richiesta, sostenendo che si trattava solo di un «documento di lavoro». Una volta, dopo l’ennesima sparata sull’Italia in una conferenza stampa, l’ambasciatore presso l’Ue Ferdinando Nelli Feroci confermò che aveva dovuto chiamare Roma per sollecitare una protesta ufficiale contro il finlandese.
Rehn, che è stato a lungo a Bruxelles anche come eurodeputato e capo di gabinetto della Commissione europea, non ha mai nascosto la sua predilezione per l’ex commissario Monti. Quando il Professore è diventato premier si è lanciato in affermazioni come «anche don Camillo e Peppone sosterrebbero il governo Monti», usando il prete democristiano e il sindaco comunista dei libri di Giovanni Guareschi per affermare il sostegno bipartisan alla politica economica dell’esecutivo tecnico. Poi però questo sostegno dei partiti, come spesso accade dopo che ha parlato il commissario finlandese, è saltato. Il Pdl ha portato Monti alle dimissioni. I numeri nei conti pubblici e negli indicatori fondamentali risultano molto negativi. Ma Rehn, nonostante l’asprezza della campagna elettorale in corso, non ha resistito alla sua voglia di dichiarare.
Ivo Caizzi
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