Assayas: sesso, droga e rivoluzione il mio film sulla generazione perdente

by Sergio Segio | 15 Gennaio 2013 8:17

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Presentato a Venezia, premiato per la sceneggiatura, il film (in sala da giovedì) ha al centro un gruppo di liceali che scopre l’impegno, crede nella Rivoluzione, nelle droghe e nel sesso libero. «Sentivo il bisogno di catturare lo spirito di quegli anni, la specificità  di quella politica, della contro cultura, regalare una versione intima di quell’epoca: la mia». Preparando il film il regista ha fatto i conti «con la lettura storica sbagliata di questo periodo. Oggi si ha una visione fantasmatica o ironica di quegli anni. Che erano politicamente complessi e basati su ideali di cui c’è poco da ridere. Il cinema francese non ha mai raccontato quel periodo in modo realistico. Ho cercato, se non di fare i conti con un’epoca, almeno di dare un punto di riferimento credibile ed equilibrato. Perciò ho usato le mie esperienze vissute». Eppure negli ultimi anni hanno raccontato il maggio ’68 due autori come Bertolucci e Garrel «ma The dreamers — obietta Assayas — è incentrato più sul rapporto tra i giovani che sulla pagina storica del Maggio, Les amants réguliers è una visione poetica dell’epoca».
Guardando le immagini del film, gli amori sfortunati, gli ideali traditi, ma anche la vitalità , la creatività  di quella generazioni, inevitabile è il raffronto con il presente. «Quel che è crudelmente diverso è l’ambiente. Avevo 15 anni nel 1970, sentivo di vivere un periodo rivoluzionario: il’68 aveva fallito, ma presto ne sarebbe arrivato un altro, vincente. Il senso di rivoluzione era tangibile, ossessionante. La vita quotidiana sembrava banale, speranze e ambizioni erano connesse alla rivoluzione futura. L’Europa era travolta dall’onda di una gioventù rivoluzionaria. Ciascuno oggi resta solo con il proprio idealismo, manca un’energia collettiva ad unire le speranze». Ma Qualcosa nell’aria non è però un film nostalgico. Piuttosto è connesso, come deve essere l’arte secondo Assayas, con il presente, con i giovani che «spero vedano il film e capiscano che c’è stato un tempo non lontano in cui si poteva immaginare un’alternativa alla dittatura del consumismo, in cui ci si poteva appoggiare sulla potenza del collettivo». Eppure quella generazione così bella e vitale è uscita sconfitta dalla storia: «Io sono stato fortunato, ma la mia generazione ha perso e molto. Quella del ’68 veniva da una società  più strutturata e quando l’energia si è spenta ha saputo reintegrarsi: tanti dirigenti socialdemocratici vengono da lì. La generazione successiva ha creduto di più nel contesto rivoluzionario, vissuto un impegno politico sfociato anche nella lotta armata. In tanti si sono distrutti nel processo. Non si credeva nei soldi, nella carriera, nella famiglia. Il risveglio, a fine anni 70, è stato crudele».
Per Assayas la Francia di oggi è «un paese politicamente nevrotico. Ha qualcosa di forte che struttura la società , ma anche un costante e distruttivo sentimento di insoddisfazione. Oggi è almeno un paese socialdemocratico che ha fede nella generosità  sociale. Ma è un luogo privo dell’energia creativa di altri tempi: domina un sentimento provinciale e autolesionista».

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