Anche i Britannici mettono un Tetto al Welfare State

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A secondo della lettura che se ne offre, questo tormentato provvedimento legislativo può essere etichettato o come un passaggio di risanamento dell’economia o come una mannaia ideologica che colpisce le politiche di sostegno alla popolazione con livelli di ricchezza bassa e media. I conservatori ne hanno fatto la loro bandiera: meno Stato, più risorse per la modernizzazione. I laburisti si sono opposti fieramente ma senza alzare le barricate: è «un lavoro sporco» che eviteranno di affrontare il giorno in cui ritorneranno a Downing Street. Sanno che i livelli di spesa attuali non sono sostenibili. Per cui hanno spiegato le loro ragioni ma non sono andati in piazza. Comunque la si pensi, una considerazione è fuori discussione: nella patria che lo generò, il welfare nella sua declinazione di automatico dispensatore di giustizia sociale viene «pensionato». Ed è una pagina di storia, britannica ed europea, controversa quanto importante. La logica secondo cui molti benefit distribuiti dallo Stato debbano crescere in linea con il costo della vita è affossata. Si stabilisce un tetto, l’1 per cento, oltre il quale, i sussidi di maternità  e paternità , l’indennità  di disoccupazione, gli assegni per i figli a carico (cancellati per le famiglie con reddito oltre le 50 mila sterline, unico controbilanciamento ridistributivo) non potranno subire ritocchi determinati dal tasso d’inflazione che è del 2,7%. L’erosione dei redditi è evidente. Non importano i risparmi che il «Benefits Bill» consente (3 miliardi di sterline). Importa il principio: lo Stato comincia la ritirata dal ruolo di riparatore di scompensi economici. Per i tory è una vittoria di sapore thatcheriano. Per i laburisti una medicina amarissima. Per i liberaldemocratici è la negazione del loro passato. Fu l’economista liberale William Beveridge, col suo rapporto nel 1942, ad aprire la strada al sistema di welfare successivamente adottato dal governo laburista di Attlee nel dopoguerra e divenuto modello di riferimento europeo. L’ingratitudine volle che Beveridge fosse bocciato alle elezioni e che rimanesse senza seggio ai Comuni. Nick Clegg, numero uno liberaldemocratico, per altri motivi rischia la stessa ingloriosa sorte. Ma questa è solo suggestione. Semmai, conta che la storia del welfare, proprio dove si affermò quale arma di equità  70 anni fa, ha cambiato il suo corso. Che la svolta di Londra sia il virtuoso rimedio per abbattere l’assistenzialismo improduttivo è una scommessa coraggiosa ma pericolosa per l’equilibrio della società .


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