ALLA RICERCA DEL PADRE

by Sergio Segio | 14 Gennaio 2013 7:48

Loading

Nell’agguerrita pattuglia di poeti italiani contemporanei, Valerio Magrelli occupa un posto di tutto rilievo. Perché? E come? La poesia di Magrelli non si discosta molto, intenzionalmente, dal nostro vissuto. Facciamo un passo indietro. Le prime poesie di Magrelli sono apparse nel 1977 sulla rivista Nuovi Argomenti diretta dal compianto Enzo Siciliano, il quale poi scriveva pochi anni dopo la prefazione alla prima raccolta, Ora serrata retinae (Feltrinelli, 1980). Colpisce che a distanza di molti anni (più di trenta) la ricerca di Magrelli, differenziandosi e arricchendosi sempre più (come cercherò di dire più avanti), proceda pur sempre sui lucidi e diritti binari degli inizi. Rivedendone l’opera poetica per questa occasione, sia pure un po’ a volo d’uccello (ma fondandomi al tempo stesso su lunghe e trattenute, come accade solo quando il testo merita, letture nel corso di questi anni), m’imbatto in innumerevoli segni di questo processo, che, se è stato com’è stato, di mutamento, ha sempre affondato le sue radici in questo humus primordiale. Non a caso, è allora che Magrelli ha scritto questi versi, che potrebbero valere per lui anche oggi: «Io non conosco / quello di cui scrivo, / ne scrivo anzi / proprio perché lo ignoro… / Qui arrivano a coincidere / l’oggetto che cerco e la causa / di questo ricercare. / Per me la ragione / della scrittura / è sempre scrittura / della ragione” (leggo da Poesie (1980-1992) e altre poesie, Einaudi, 1996, bellissima scelta, che raccomandiamo al lettore, perché questi spunti miei assumano ai suoi occhi una maggiore concretezza). Dunque: Magrelli porta a chiarezza, con uno stile sempre elegantemente nitido e chiaro, ma non privo d’illuminazioni dolorose, una difficoltà  del vivere, che appartiene specificamente al nostro tempo, ma potrebbe essere, in prospettiva, di qualsiasi tempo, come accade a ogni poesia che si rispetti (nella sua prefazione a Ora serrata retinae Siciliano chiama in causa Auden e, attraverso Auden, «le esperienze di un surrealismo filtrato attraverso i cristalli bruni di un severo esercizio della ragione »). In più io direi: una sorta di lettura geometrica e parascientifica del reale, una specie di “messa in forma” del nostro disagio entro canoni che potrebbero esser quelli di una psicanalisi trasformata in sistema mentale.
Venendo più vicini a noi: «Ovunque l’ecatombe svela quanto / sia vocato alla morte l’uomo faglia, / la zigzagante linea di / frattura / fra tecnica e natura » (Didascalie per la lettura di un giornale, Einaudi, 1999). Ecco: «la zigzagante linea di frattura / fra tecnica e natura» è, secondo me, il fondamentale criterio con il quale Magrelli orienta il suo sguardo sul mondo e, al tempo stesso, si proietta al di là  di esso.
Venendo ancor più vicini a noi: Magrelli ha scoperto recentemente le possibilità  espressive e metaforiche che può fornire la prosa, quando sia trattata in un certo modo da uno che, inequivocabilmente (insisterei molto su questa precisazione) resta un poeta. I libri di questa nuova serie inventiva s’intitolano Nel condominio di carne (Einaudi, 2003), La vicevita (Laterza, 2009) e Addio al calcio (Einaudi, 2010): gli stessi che, non casualmente, l’Autore richiama in nota nel suo ultimo, quello testé apparso, Geologia di un padre (Einaudi, 2013), sul quale un poco più puntualmente cercheremo di attirare l’attenzione.
Ma innanzi tutto: che vuol dire questa conversione alla prosa? Intendiamoci: brani, anzi, più esattamente, capitoli brevi, talvolta brevissimi, nei quali Magrelli fissa, come in una forma di poesia più distesa e comunicativa, una sensazione, un ricordo, un dolore, una ferita, talvolta una nostalgica rievocazione di un passato perduto. Vuol dire, io credo, la ricerca di un registro più comunicativo, che consenta più facilmente che allora (sì, a dir la verità , c’era già  allora, ma in forma decisamente più sotterranea e nascosta) l’apertura di un discorso continuo, ininterrotto, sempre lo stesso, anche se, una volta combinato in modi diversi, diverso (prova ne sia che, negli interstizi di quest’ultimo libro, s’infilano reperti e richiami di quelli precedenti).
Con Geologia di un padre, però, siamo a un passaggio ulteriore. Per quelle coincidenze che talvolta avvincono lettore ad Autore, è capitato anche a me come a lui di guardare recentemente dentro una tomba antica del Verano per scoprire se c’era “ancora posto per un altro” (nel caso mio, veramente, per un’altra): è un’esperienza, come racconta splendidamente Magrelli nelle prime pagine del suo libro, che apre un abisso nel cuore, ma anche nella mente. Quanto al padre, so per esperienza cosa significhi riscoprirne la presenza a ogni passaggio della vita, soprattutto quando lui è scomparso ed è divenuto, per usare una bella immagine di Magrelli, una “figura
per eccellenza”, un “disegno che restituisca all’oggetto le sue linee”.
Abbandonando la suggestione, che potrebbe valere solo per me, di queste coincidenze biografiche, dirò che la Geologia di un padre si muove col ritmo delle stazioni di una via crucis, in cui memorie piacevoli e memorie dolorose, forza e debolezza, allegrezza e “feroce cupezza”, desisa derio d’incontrarlo di nuovo e disperato anelito a fuggirne, si mescolano e s’intrecciano senza sperare di poterne mai ricavare un quadro armonico e concluso. Il padre esasperato ed esasperante. Il padre sorridente e ruggente. Il padre presente e il padre assente. È, infine, il padre che insegna ad aprire le porte, soprattutto quando sono chiuse.
Magrelli, memore della sua poesia, scrive a piccoli tratti, fortemente espressivi, ma non esagerati, con un linguaggio ricco di tecnicismi e di neologismi. Cultore com’è di arti visive, ogni brano è un quadro concluso in sé, che però rimanda, non solo a quello precedente e a quello successivo, ma a tutti gli altri.
Se Giacinto (Magrelli) fosse ancora fra noi, nonostante le stoccate che il figlio non gli risparmia, ne sarebbe contento.

Post Views: 165

Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2013/01/alla-ricerca-del-padre/