Albertini a Formigoni: non mi inquieti troppo o parlo e lo metto a terra

by Sergio Segio | 14 Gennaio 2013 7:33

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MILANO — Toglie i guanti e infila i guantoni. Non aveva infierito, Gabriele Albertini, dopo la decisione di Roberto Formigoni di abbandonare il loro progetto politico centrista per rientrare nei ranghi del Pdl. Ma ieri ha affondato: «Non mi inquieti troppo perché posso fare dichiarazioni che lo metterebbero a terra. Lui sa di cosa sto parlando». La minaccia non viene meglio circostanziata, ma l’ex sindaco aggiunge di riferirsi a «colloqui che hanno riguardato alcuni argomenti molto vicini a lui» e che «sono avvenuti nel mio ufficio». E ripete: «Sappiamo di cosa sto parlando».
Apriti cielo. Formigoni tace facendo sapere di non voler alimentare le polemiche. Ma il resto del mondo si scioglie nei dubbi: a che cosa allude? E, con i tempi che corrono e le inchieste aperte in Regione, il riferimento a questioni giudiziarie viene immediato a molti. Al punto che in serata lo stesso ex sindaco, candidato governatore in Lombardia e in corsa al Senato con Mario Monti, si sente in dovere di chiarire: «In merito a ricostruzioni fantasiose che vedo e sento rispetto alle mie dichiarazioni di questa mattina, tengo a precisare che il progetto politico costruito con Formigoni in questi mesi è stato oggetto di lunghi incontri, ragionamenti politici ed elettorali spesso avvenuti nel mio ufficio di lavoro. A questi incontri e ragionamenti e a null’altro, tantomeno di natura penale, mi riferivo nelle mie dichiarazioni».
Nello specifico, a irritare Albertini è stato un tweet che Formigoni aveva scritto l’altra mattina: «Caro Albertini che caduta di stile! Sei un politico di professione ancora più di me: hai la poltrona al Parlamento europeo, corri per altre due poltrone». Quel cinguettio era stata la risposta all’unica battuta che Albertini aveva fatto per commentare il passo indietro del governatore: «Ne prendo atto. Conoscendo il genere, quello del politico di professione, so che questo è il comportamento conseguente». Un insulto, per Albertini che vuole fare del civismo e dell’impegno per spirito di servizio la sua bandiera. Di lì la reazione di ieri e il riferimento a chiacchierate che, probabilmente, hanno riguardato la richiesta di garanzie da parte del governatore per una eventuale candidatura sua o di uomini a lui vicini nella squadra di Albertini, in Lombardia, e di Monti, a Roma. Una guerra sui principi che, agli occhi degli osservatori, sembra anche una guerra su chi è più attaccato alla poltrona e su chi se ne è garantite, negli anni, di più.
Formigoni, che in questi giorni deve sciogliere la riserva sul proprio futuro politico, spiegando se accetterà  o meno il posto offertogli da Berlusconi al Senato (ma viene dato per certo che stia puntando a Roma), non replica. Chi gli è vicino fa sapere che il governatore si è però riconosciuto nel commento giunto dal segretario della Lega Lombarda, Matteo Salvini: «È un linguaggio che si usa altrove, con la coppola, per minacciare qualcuno. Non è né elegante — osserva Salvini — né lombardo. Non gli fa onore un linguaggio di questo tipo».
E se il parlamentare del Pd Emanuele Fiano ambienta lo scambio di battute fra i due ex alleati nella «Chicago anni 20», Paolo Ferrero di Prc scomoda Il Padrino e invita Albertini a «dire quello che sa». Esplicita le domande Maurizio Martina, segretario lombardo del Pd: «Spieghi qual è l’indicibile ragione che ha riportato Formigoni ad abbracciare Berlusconi e perfino Maroni. Spieghi, se lo sa, che cosa il leader della Lega ha dovuto mettere sul piatto pur di ricostruire la vecchia alleanza ormai logora e screditata da scandali e situazioni imbarazzanti che hanno fatto parlare tutta Italia». Ma forse non lo sapremo mai.

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