Afghanistan, via i soldati Usa nel 2014

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NEW YORK — Da 68.000 a zero in due anni. E’ il percorso che potrebbe seguire la presenza militare americana in Afghanistan. Alla vigilia dell’arrivo a Washington del presidente Hamid Karzai, per il primo vertice bilaterale da quando Barack Obama è stato rieletto, la Casa Bianca affaccia di colpo “l’opzione zero”. Si sapeva da tempo che entro la fine del 2014 il grosso delle truppe Usa tornerà  a casa. Ma l’ultima discussione ufficiale sulle dimensioni e i tempi del ritiro, avvenuta a Chicago al summit della Nato nel maggio scorso, non aveva incluso “l’opzione zero”. I vertici del Pentagono hanno sempre sbandierato la necessità  di mantenere un dispositivo sul terreno: da un minimo di 15.000 fino a 30.000 militari. Ora è Ben Rhodes, vice consigliere per la sicurezza nazionale di Obama, a evocare apertamente il ritiro totale. «Il nostro obiettivo — spiega Rhodes — non è mantenere soldati in Afghanistan, ma impedire che il paese torni ad essere un santuario per Al Qaeda, attraverso un adeguato addestramento delle forze armate afgane. Questo non implica necessariamente la permanenza di truppe Usa».
Cosa c’è dietro un piano così drastico, di ritiro integrale? Una prima interpretazione lega l’annuncio alle tattiche negoziali Obama-Karzai. Gli afgani si presentano al negoziato sul dopo- 2014 ritenendo di avere un forte potere contrattuale. Il braccio destro di Karzai, Abdul Khurram, ha detto: «Il mondo ha bisogno di noi più di quanto noi abbiamo bisogno dell’aiuto esterno». I dirigenti di Kabul vogliono far leva sul timore degli Usa e della Nato che i Taliban possano tornare al potere. In tal modo il clan di Karzai spera di spuntare il massimo di aiuti, soprattutto finanziari. Gli Stati Uniti hanno investito finora 50 miliardi di dollari solo per l’addestramento delle forze locali. La “concessione” che Karzai è disposto a fare sulla presenza di truppe straniere dopo il 2014 diventa un’arma negoziale.
E’ proprio quella che Obama vuole togliergli; anticipando che non sarebbe affatto sgradito alla Casa Bianca il ritiro totale, anzi. Tanto più che Washington non è certa di ottenere una garanzia essenziale: l’immunità  legale per i soldati Usa che restano, affinché i commandos anti-terrorismo possano compiere i loro blitz senza temere di essere trascinati presso un tribunale afgano. E’ proprio la mancanza dell’accordo sull’immunità  che fece saltare un negoziato analogo con Bagdad e portò al ritiro totale anche dall’Iraq.
Un altro bersaglio del messaggio di Rhodes sull’opzione zero è interno: il Pentagono. I generali furono spesso in grado di piegare Obama alla loro volontà , durante il primo mandato. Tutto il dibattito interno sull’escalation del 2009 vide un presidente ancora relativamente inesperto, assediato dalla lobby delle stellette. Ora Obama è molto più forte e smaliziato, mentre il Pentagono è stato indebolito politicamente da ben due scandali con relative dimissioni: Stanley McChrystal e David Petraeus. I loro colleghi continuano a difendere strenuamente uno scenario di robusti dispiegamenti. Un’analisi dell’Institute for the Study of War (think tank collegato al Pentagono) situa addirittura a 30.000 soldati la presenza post-2014 necessaria per garantire la sicurezza in Afghanistan. 6.000 soldati, osservano i vertici della Difesa, sono necessari solo per garantire l’operatività  della base aerea di Bagram vicino alla capitale. E comunque si sguarnirebbe tutta la parte meridionale del paese, la più esposta alla riscossa dei Taliban. Ma gli uomini di Obama ribattono che ci sono esempi di segno opposto: dal Salvador negli anni Ottanta alla Colombia negli anni Novanta, citano situazioni in cui delle minuscole presenze di consiglieri americani sono state efficaci, responsabilizzando le forze armate locali. E in ogni caso Obama “respira” un’atmosfera politica profondamente cambiata: il problema numero uno è l’economia, occorre ridurre il deficit pubblico, gli elettori sono stanchi di guerre.
Tutto il dibattito sull’opzione zero ha ovviamente delle ricadute importanti anche per gli alleati Nato. Anche la Gran Bretagna, che ha il secondo dispositivo in Afghanistan dopo quello americano, ha annunciato che ridurrà  già  quest’anno le sue truppe da 9.500 a 5.200. Altri paesi hanno l’intenzione di lasciare in loco almeno personale civile, diplomatici, personale di cooperazione. Ma la sicurezza di questo dispositivo civile può dipendere dal tipo di presenza militare che rimarrà .


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