Addio a Spaventa, l’economista di sinistra che studiò a Cambridge

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Luigi Spaventa è morto ieri a Roma a 78 anni al termine di una lunga malattia. Spaventa, nato nella capitale il 5 marzo 1934, si era laureato nel 1957 per poi proseguire gli studi a Cambridge. Professore di politica economica a Palermo, Perugia e poi alla Sapienza di Roma (dal 1971). Deputato indipendente con il Pci dal 1976 al 1983 è stato presidente della Commissione del Tesoro sulla gestione del debito pubblico (1988-89) e ministro del Bilancio e della Programmazione economica nel governo Ciampi (dall’aprile 1993 al maggio 1994). Dal 1997 al 1998 è stato presidente del Monte dei Paschi di Siena e nel maggio 1998 è divenuto presidente della Consob, la commissione di vigilanza sulla Borsa. Il ricordo di Luigi Spaventa che Francesco Giavazzi conserva comincia dalle frequenti telefonate di primo mattino. «Era sempre molto severo. Chiamava alle 7.30 per contestare quello che aveva appena letto in un mio articolo. E la domanda ricorrente era sempre una: Francesco, hai l’evidenza empirica di quello che sostieni?». Di Spaventa le tappe della vita e gli episodi da ricordare sono tantissimi. L’impegno da civil servant nelle istituzioni, il tormentato rapporto con la politica, il duello elettorale del ’94 con Silvio Berlusconi, una certa idiosincrasia per i giornalisti, le battute al vetriolo, la romanità  dichiarata e persino quel fisico asciutto che lo faceva vagamente accostare all’attore Anthony Perkins, il protagonista di Psycho.
Ricorda ancora Giavazzi: «Spaventa possedeva una solida cultura economica ma non usava mai la teoria in modo ideologico: andava sempre alla ricerca del riscontro empirico, e voleva con caparbietà  colmare il divario fra quanto si sapeva e quanto restava ancora da capire, sempre pronto a farsi convincere soprattutto dai colleghi più giovani». Qualità  rara fra gli economisti e che si aggiunge ad altri tratti nobili della personalità  dello scomparso. Colto, amante della cultura classica, in particolare della musica, ironico e scanzonato, «soprattutto quando si trattava di sorridere dell’altrui stupidità ».
In un accademico dai modi rigorosi e dalla concezione quasi aristocratica dell’intelligenza non ci si attende la duttilità , eppure Spaventa ne ha dato prova lungo tutto l’arco del suo impegno intellettuale. Giavazzi lo ricorda come il trait d’union tra gli italiani che avevano studiato in Inghilterra, a Cambridge negli anni 60, e la nuova generazione degli economisti d’impronta americana come Mario Draghi e Alberto Giovannini. Era cresciuto nel culto delle pagine di Piero Sraffa ma non ebbe problemi negli anni 70 a mettersi a studiare la moderna teoria delle aspettative razionali. «Frequentava i seminari che noi, più giovani, tenevamo nelle università  di Bologna e Padova. In quegli anni spesso in aula c’era anche Mario Monti. Luigi la sera si incaponiva con esercizi matematici. La sua volontà  di capire e di padroneggiare la teoria era incredibile».
Keynesiano doc Spaventa era stato, con Giorgio Ruffolo e Antonio Pedone uno degli ideatori della programmazione economica italiana ma con il tempo non aveva avuto difficoltà  a metterne in evidenza limiti e contraddizioni. E fu proprio a lui che toccò, nelle vesti di ministro del governo Ciampi, chiudere formalmente la Cassa del Mezzogiorno.
Fu anche il primo a intuire, all’inizio della Grande Crisi, come il motivo principale delle difficoltà  dell’euro non andasse ricercato in campo fiscale ma nell’eccesso di indebitamento pubblico di Paesi come Grecia, Spagna e Portogallo.
Spaventa non amava particolarmente i giornalisti ma i giornali invece sì. Ha scritto per moltissimi anni su «Repubblica» e per una breve stagione sul «Corriere della Sera», alcuni suoi pezzi hanno fatto storia, quasi tutti sono stati letti, riletti, sottolineati e non solo in Italia. Con la politica il rapporto è stato lungo e complesso e quando qualcuno scriverà  la storia di quelle personalità  che alla fine degli anni 70 furono definite «indipendenti di sinistra», perché accettarono di affiancare l’azione parlamentare del Pci, ne sapremo di più. Sicuramente Spaventa è stato uno degli uomini che più si è adoperato per far dialogare la sinistra e le istituzioni, sempre però con l’idea di affrontare e risolvere i problemi, si chiamassero essi di volta in volta monitoraggio dei prezzi, inflazione, trasparenza dei mercati finanziari, moneta unica. I ruoli che ha ricoperto come ministro e come presidente della Consob lo testimoniano e se è nota la sua amicizia con Carlo Azeglio Ciampi meno lo è quella con Giorgio Napolitano che al Quirinale lo ha considerato fino all’ultimo un interlocutore da convocare nei momenti difficili.
Famoso, poi, è rimasto il suo duello elettorale del ’94 con il debuttante Silvio Berlusconi, entrambi candidati nel collegio di Roma1. Un duello che Spaventa interpretò alla garibaldina con una campagna elettorale vecchio stile fatta di tanto porta a porta e numerosi comizi di strada. «Combatto a mani nude contro i miliardi di un ras della Tv e della pubblicità : ne uscirò con le ossa rotte ma con la coscienza a posto» dichiarò. Andò proprio così e se l’economista fece un errore fu quello di pensare che il Cavaliere, antropologicamente brianzolo, non sarebbe piaciuto agli elettori romani. Sopravvalutava i suoi concittadini.


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