Welfare, un anno deludente. Ecco cosa si è fatto (e cosa non si è fatto)

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COSA è avvenuto nel 2012 per il sociale? E soprattutto: cosa non è avvenuto o è rimasto in sospeso?
E’ proprio quella della sospensione l’immagine che emerge passando in rassegna gli eventi principali dell’anno in materia di welfare e disagio sociale. Se nei consuntivi tematici di dicembre si parla solitamente di “bilancio in chiaroscuro” o di “luci e ombre”, in questo caso lo scenario è ben poco luminoso. Investite dalla crisi, le politiche sociali italiane hanno rivelato tutta la loro fragilità . Basato essenzialmente su un sistema di erogazioni monetarie, spesso inefficaci, il nostro welfare paga la riduzione dei servizi pubblici di assistenza, già  tra i più scarsi per numero in Europa, mentre il ruolo di supplenza delle famiglie, con i loro risparmi, sta venendo meno a causa di un impoverimento sempre più diffuso.
E’ deludente dunque il quadro che si delinea in questo Speciale 2012, dove abbiamo selezionato dieci aree del welfare e del disagio tra quelle più dense di avvenimenti: i fondi per le politiche sociali, l’immigrazione e la cittadinanza, la disabilità  e la non autosufficienza, il volontariato e terzo settore, i fondi speciali per le povertà  estreme, i senza dimora, il carcere e gli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg), il servizio civile, i rom, il gioco d’azzardo.

Per la prima volta dopo quattro anni sono stati parzialmente rifinanziati il fondo per le politiche sociali (300 milioni) e quello per la non autosufficienza (tra 275 e 315, a seconda di quanto sarà  recuperato dai controlli sul “falsi invalidi”, e con l’incognita della parte riservata ai malati di Sla). Ma in generale gli interventi sono apparsi più il frutto di una scelta contingente che di una vera inversione di tendenza. Tanto più che i circa 600 milioni sono stati imputati al fondo omnibus di competenza di Palazzo Chigi e non a un capitolo specifico.
Nessuna risposta strutturale alle povertà  estreme è stata invece varata nel 2012. Nell’anno in cui si sono accumulati i dati più allarmanti sulla crescita degli indigenti in Italia, e in generale sulla fascia delle persone a “rischio di povertà  o esclusione sociale” (che ha raggiunto il 28,4 per cento), al di là  della tradizionale rete di risposte attivate dal volontariato e dalla chiesa si sono potute tirare le somme solo di tre fondi straordinari (due pubblici e uno privato). Interventi comunque marginali e attivati negli anni precedenti. Mentre sembra aver funzionato il fondo “nuovi nati”, dove però non c’erano limitazioni di reddito dei beneficiari, per la Social card, sommersa dalle critiche ormai da quasi tutti, si aspetta la partenza della sperimentazione in 12 grandi città : non risolverà  il problema degli indigenti, ma potrebbe finalmente ispirare le politiche per interventi più efficaci da fare in futuro.
Sempre in tema di povertà  estreme, il 2012 è stato anche l’anno del primo censimento dei senza dimora in Italia: 50 mila persone, un numero oltre le aspettative e considerato solo la fascia più esposta di un grave disagio che interessa molte più persone.

Sull’immigrazione, nell’anno della nuova sanatoria, e quando i dati parlano di una stabilizzazione del fenomeno almeno in termini numerici, è rimasta irrisolta la questione della cittadinanza ai bambini e giovani nati in Italia da genitori stranieri. Ingorghi parlamentari, ma soprattutto opportunità  politiche, hanno determinato il rinvio. Nulla di fatto anche per il diritto di voto alle amministrative, nonostante la presentazione di due leggi di iniziativa popolare. E mentre l’Italia è stata condannata da Strasburgo per i respingimenti, in compenso si è intervenuti sulla “macchina degli irregolari” estendendo da sei mesi a un anno il periodo entro cui si può ricercare un nuovo lavoro senza perdere il permesso di soggiorno. E’ stata poi adottata la Carta blu per gli immigrati qualificati e si è almeno cominciato a parlare di abbassare a 12 mesi (da 18) il periodo massimo di detenzione nei Cie.

Sulla disabilità  sono proseguite la “caccia” al falso invalido e la apparente “guerra tra poveri” tra diverse categorie di disabili gravi e gravissimi, con buone notizie solo dal fronte del lavoro, ma con pesanti questioni sospese su inserimento scolastico, riconoscimento dei “caregiver” e definizione dei livelli essenziali di assistenza. Con sullo sfondo un fermento sempre più forte delle associazioni e delle famiglie, che nell’anno ha generato diverse manifestazioni clamorose a Roma e in tutta Italia.
Il terzo settore esce con varie ammaccature dal 2012: una conferenza sul volontariato e una sulla cooperazione internazionale dense solo di promesse e buone intenzioni, l’agenzia per le onlus cancellata, la legge sul 5 per mille ancora mancata e il rinvio di un solo anno dell’aumento dell’Iva per alcune prestazioni delle cooperative sociali. Un bilancio molto magro.

In carcere è rimasto quasi del tutto irrisolto il problema del sovraffollamento, nonostante il decreto “svuota carceri”, e si è mantenuto sugli stessi livelli il dramma dei suicidi. Mentre per gli Opg è tornata in discussione la data del 31 marzo 2013, in cui appare ora a rischio la prevista chiusura delle sei strutture.
Nel servizio civile si sono invece trovati alcuni fondi per far partire qualche migliaio di volontari nel 2013 e 2014, ma sono rimasti irrisolti tutti i vecchi problemi di precarietà  di questo importante strumento per la crescita dei giovani.
Qualcosa si è mosso per i rom, dove i contrasti legali ancora irrisolti sulla dichiarazione dello “stato di emergenza” hanno almeno tenuto alta l’attenzione sugli sgomberi, insieme al varo del Piano nazionale del governo sul fenomeno che esplicitamente dichiara di voler “superare” il modello dei campi. Sgomberi e discriminazioni, tuttavia, sono proseguiti anche se con meno intensità  degli anni precedenti, ed è emersa qua e là  anche qualche buona notizia.
Si è mosso qualcosa, infine, anche sul gioco d’azzardo: il decreto Balduzzi, seppure indebolito fino all’ultimo dalla pressione delle lobby, ha introdotto le prime limitazioni alla “slot machine selvaggia” e riconosciuto ufficialmente la “ludopatia”. Un cartello di associazioni e un interessante movimento di sindaci hanno fatto il resto, la presa di coscienza è in atto ma la battaglia si annuncia molto lunga. Al prossimo Parlamento il compito di raccogliere le sollecitazioni della società  civile e regolamentare un fenomeno che presenta in Italia cifre preoccupanti. (st)

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Fondi sociali, magro bottino: i tecnici non fanno il miracolo

IL 2012 DEL SOCIALE. Il governo Monti aveva suscitato grandi speranze, ma per i fondi nazionali è cambiato poco. Nel 2013 i servizi sociali sul territorio soffriranno molto, anche con l’arrivo in extremis di 600 milioni dalla legge di stabilità 

ROMA – Era iniziato all’insegna della speranza e dell’ottimismo: almeno all’apparenza, del resto, gli ingredienti c’erano tutti. Il 2012 del sociale invece ha portato con sé una grande delusione, ancor più cocente quanto più l’avvento di una nuova stagione politica, quella del governo tecnico, aveva dodici mesi fa autorizzato a sperare in una netta inversione di tendenza rispetto all’impegno statale nel settore delle Politiche sociali. I pochi fondi stanziati in extremis nella legge di stabilità  (circa 600 milioni fra Fondo Politiche sociali e non autosufficienza, con qualche incognita su quest’ultimo), pur segnando un punto a favore, migliorano solo in parte un quadro estremamente difficile che si riverbera ora interamente sul 2013.

Non è stata una priorità 
Il governo guidato da Mario Monti non ha amato il sociale, non l’ha considerato una priorità  per il paese; lo ha ascoltato, ne ha inteso le richieste, ne ha rispettato e probabilmente anche compreso le necessità  e il valore, ma non è riuscito a fare significativi passi avanti – dal punto di vista della messa a disposizione di risorse – rispetto alla situazione che aveva trovato. Sui fondi stanziati, relativamente al sociale il governo del professore della Bocconi non ha potuto o voluto rivoluzionare l’approccio che aveva caratterizzato il precedente esecutivo, quello guidato da Silvio Berlusconi, protagonista dal 2008 al 2011 della più imponente riduzione di risorse che si fosse mai vista, con una contrazione della spesa pubblica indirizzata a fondi di natura sociale superiore al 90% (dagli oltre 2 miliardi e mezzo del 2008 ai 218 milioni del 2011, fino ai 10 del 2012). Molto più di un semplice taglio.
Impegnato, in materia di welfare, sulle due impegnative e delicate riforme riguardanti il lavoro e le pensioni, il governo Monti ha insomma segnato il passo proprio sul sociale, e proprio nell’anno più difficile, quello in cui i comuni e le regioni si sono trovati, per i loro servizi sociali, senza le boccate d’ossigeno, che negli anni precedenti avevano avuto, dei trasferimenti provenienti dai fondi nazionali (le politiche sociali, la non autosufficienza, i minori non accompagnati, la famiglia e i servizi per l’infanzia, le pari opportunità , gli immigrati, ecc.). 

Le delusioni
Nei dodici mesi che abbiamo alle spalle, nonostante i continui appelli lanciati fra gli altri dalla conferenza delle Regioni, dall’Anci, dal Forum del Terzo Settore, tutti culminati a ottobre con un’apposita manifestazione nazionale di protesta (“Cresce il welfare, cresce l’Italia”), per gli enti locali la situazione è addirittura peggiorata, considerato che nei vari provvedimenti assunti per il risanamento della finanza pubblica non sono certo mancate ampie decurtazioni ai trasferimenti indistinti destinati proprio alle regioni e alle amministrazioni municipali. Nel corso dell’anno (era il luglio 2012) le regioni, che in precedenza avevano chiesto la somma di 1,5 miliardi per le politiche sociali, hanno bollato come “indecente” la decisione del governo di finanziare il fondo per le politiche sociali con la somma di 10,8 milioni di euro, una cifra “risibile” anche per i comuni, durissimi nel parlare di “provocazione” e di “affronto”.
Negli ultimi due mesi le pressioni parlamentari, una volta tanto convergenti, hanno prodotto un qualche risultato all’interno della legge di stabilità , con la previsione per il 2013 di 300 milioni per il Fondo politiche sociali e di una somma tra 275 e 315 milioni per il Fondo non autosufficienza (i 40 milioni “ballerini” dipenderanno dai risparmi per i nuovi controlli sui “falsi invalidi”). Una conseguenza, questo secondo fondo, soprattutto delle clamorose mobilitazione delle associazioni dei malati di Sla. che sono state poi le prime a manifestare tutta la loro insoddisfazione.
In totale circa 600 milioni, imputati per giunta non su un capitolo specifico, ma sul tesoretto del fondo “omnibus” di competenza di Palazzo Chigi: poco rispetto a quanto servirebbe per rispondere ai bisogni di base, ma certamente qualcosa in più rispetto a quello che c’era.
Nel tracciare un bilancio del 2012, oltre alla scarsa attenzione a reperire risorse per il sociale, pesa anche il tentativo di recuperarne di ulteriori a suo scapito: si pensi alle misure penalizzanti verso il terzo settore proposte per la spending review, fino alla tassazione delle pensioni di invalidità  e alla stretta sui permessi concessi ex lege 104/92 in legge di stabilità . Ipotesi poi tutte ritirate dal piatto. 

I successi
In questo contesto generale, il provvedimento forse più convincente attuato dal governo è stato il Piano sociale per il sud, presentato a giugno 2012 e destinato a Campania, Calabria, Puglia e Sicilia: uno stanziamento totale di oltre 2,3 miliardi di euro recuperati dal ministro Barca attraverso la riprogrammazione di fondi comunitari. In particolare, oltre 800 milioni sono destinati ai servizi per l’infanzia (i nidi) e a quelli per gli anziani, e consentiranno alle regioni interessate di recuperare almeno in parte la distanza che li separa, in termini di qualità  e quantità , dalla media nazionale. Né si può dimenticare che il governo ha – per dirla con il sottosegretario al Welfare Maria Cecilia Guerra – “disinnescato la miccia” della legge delega sulla riforma fiscale e assistenziale prevista dal precedente governo. Di rilievo poi, anche se non hanno impegnato nuovi fondi, i contributi che il governo ha avviato su questioni quali la riforma dell’Isee, la definizione di un Piano per la non autosufficienza, la sperimentazione di una nuova social card (già  pensata nel 2011 e a cui è stato dato il via libera). 

L’anno che verrà 
La fine dell’anno, che segna anche la fine della legislatura e l’avvio della campagna elettorale, consegna al 2013 una situazione di grande sofferenza per l’intero settore: sarà  durante i prossimi mesi che l’impatto delle riduzioni statali attuate nel corso del tempo si manifesterà  al livello del singolo cittadino. Né i nuovi fondi stanziati riusciranno in tempi brevi ad alleviare le difficoltà . Le esigenze del sociale sbarcano così all’interno di una difficile campagna elettorale, con la speranza di apparire finalmente come finora non si è riusciti a fare: una priorità  per la tenuta sociale e per lo sviluppo stesso dell’intero paese. (ska)

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Dalla “caccia al falso invalido” alla “guerra tra poveri”

IL 2012 DEL SOCIALE. 250 mila NUOVI accertamenti straordinari Inps per “stanare i falsi invalidi”; le stangate della legge di stabilità  a pensioni d’invalidità  e legge 104, poi ritirate; il fondo la non autosufficienza e gli “scioperi” dei malati di Sla

ROMA – “Caccia al falso invalido” e “guerra tra poveri”: due espressioni mediatiche hanno attraversato il dibattito sulla disabilità  nel 2012, rendendo bene il contorno “conflittuale” della questione. “Caccia” e “guerra”, appunto: la prima, indirizzata in teoria a stanare chi gode illecitamente delle provvidenze destinate all’invalidità , ma per molti divenuta vera e propria “persecuzione” ai danni delle categorie più fragili; la seconda, invece, esito prevedibile di una disponibilità  di risorse insufficiente a soddisfare i reali bisogni di tanti, costretti quindi a contendersi “le briciole” del welfare italiano. 

Caccia al falso invalido…
Ai “falsi invalidi” è stata dedicata molta, per alcuni troppa attenzione mediatica negli ultimi anni. Un’attenzione che, come denunciano famiglie e associazioni, in realtà  è servita come pretesto per “colpire i più deboli”, praticando tagli alle risorse, moltiplicando i controlli, di fatto “vessando” soprattutto i “veri invalidi”.
Innanzitutto, è continuato il piano straordinario di verifiche realizzate dall’Inps: 250.000 quelle realizzate nel 2012. Un’operazione che ha sollevato dubbi e polemiche, non solo per i disagi procurati a persone spesso gravemente disabili, ma anche per i costi che il piano ha comportato (oltre 60 milioni di euro nel 2011, tra spese e contenziosi), anche alla luce dell’esiguo risparmio che ne è derivato (circa 150 milioni di euro l’anno sono derivati dalle revoche, che però non riguardano solo i falsi invalidi, ma anche la riduzione dell’invalidità ). Durante l’anno, numerose sono state poi le denunce, da parte di cittadini e associazioni, delle procedure stesse degli accertamenti: lunghe attese, visite effettuate da medici privi delle adeguate competenze, convocazione di persone che, per la cronicità  della loro patologie, non sono per legge rivedibili. Sempre in materia di invalidità , c’è da segnalare che l’Inps, nell’ultimo anno, ha dovuto pagare 37 milioni d’interessi per i suoi ritardi. Ora, la legge di stabilità  prevede un nuovo piano di 150mila verifiche straordinarie l’anno.

…e “stangate ai veri invalidi”
La legge di stabilità , nella sua prima stesura, conteneva anche una “stangata” all’invalidità : la tassazione per le pensioni in presenza di un reddito superiore ai 15mila euro. La stessa legge prevedeva anche la riduzione dei benefici della legge 104, con il dimezzamento della retribuzione nei giorni di congedo per chi usufruiva del congedo per assistenza di parenti che non fossero coniuge o figli. Entrambe le misure sono state cancellate dal testo definitivo, anche a seguito delle aspre polemiche suscitate.

La Sla e la “guerra tra poveri”
Poche risorse, tanti bisogni: così inizia la “guerra tra poveri” per le “briciole” del welfare. Una contesa che, nel corso dell’anno, ma già  a partire dal 2011, ha coinvolto direttamente la disabilità . Il “casus belli” è stato, secondo alcuni, il fondo di 100 milioni per la Sla stanziato dal precedente governo (novembre 2010): famiglie e associazioni di disabili (spesso gravemente disabili) hanno criticato un provvedimento destinato a soddisfare i bisogni di pochi, lasciando irrisolte le necessità  di tanti.
La stessa questione si è riproposta quest’anno, quando la legge di stabilità  ha destinato al fondo per la non autosufficienza 200 milioni di euro: i malati di Sla sono saliti sulle barricate, manifestando la propria insoddisfazione con scioperi della fame e minacciando di staccare i respiratori, nel caso in cui il fondo non fosse stato almeno raddoppiato. Il 21 novembre scorso, dopo l’ennesimo presidio, il Comitato 16 novembre ha incassato l’impegno, da parte del ministero del Tesoro, di integrare il fondo, per destinare risorse maggiori innanzitutto alle “gravissime disabilità ”. Competenza che però spetta al Parlamento con la legge di stabilità  e a cui non è stato ancora dato corso.
Di nuovo si sono accese le polemiche: oltre ai dubbi sollevati da alcuni sul metodo della protesta, tanti hanno avanzato il sospetto che l’eventuale integrazione del fondo avrebbe riguardato solo o quasi solo i malati di Sla. Di qui, il dibattito, iniziato a fine anno e tuttora in corso, sulla definizione di “grave e gravissima disabilità ”: una definizione che, di fatto, in Italia ancora non esiste, mancando criteri condivisi a livello nazionale per individuare questi casi e destinare loro risorse e interventi adeguati. Un problema al quale ha provato a dare risposta il Comitato 16 novembre, proponendo una lista di criteri per individuare le gravi disabilità : un’altra partita che, almeno per il momento, rimane aperta. (cl)

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Chiusure, promesse e casse vuote. Un anno amaro per il non profit

IL 2012 DEL SOCIALE. Dalla mancata stabilizzazione del 5 per mille, alla chiusura dell’Agenzia per le onlus; dalla minaccia dell’aumento dell’Iva per le cooperative (slittata al 2014), alla cooperazione internazionale senza soldi. Un bilancio magro

ROMA – L’aumento dell’Iva per le cooperative sociali (non del tutto scongiurato ma rinviato al 2014); la soppressione definitiva dell’Agenzia del Terzo settore e quella dell’Osservatorio del volontariato (che però dovrebbe essere ricostruito a breve), la mancata approvazione della legge che avrebbe dovuto stabilizzare il 5 per mille; le conferenze nazionali su volontariato e cooperazione internazionale che lasciano l’amaro in bocca. Il 2012 non è stato un anno facile per il terzo settore e il mondo del volontariato. Ripercorriamo le tappe più significative.

Iva e 5 per mille
Un allarme rientrato, ma non del tutto scongiurato. La proposta di aumentare del 10% l’Iva
alle cooperative sociali inserita, e poi tolta, dal testo del ddl Stabilità , prevede uno slittamento al 2014. Ma l’ipotesi non piace al mondo delle cooperative, che chiede unanime lo stralcio del testo. In caso contrario a farne le spese sarebbero soprattutto gli enti locali e in parte le famiglie. Ad aumentare non sarà , infatti, l’Iva su tutte le attività  svolte dalle cooperative sociali, ma unicamente quella sulle prestazioni socio-sanitarie, socio-assistenziali e socio-educative rese dalle cooperative sociali di tipo A (quelle di tipo B sono invece per l’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati). Speranze appese al un filo anche per la stabilizzazione del cinque per mille, che sembrava dover essere approvata a breve. La legge delega di riforma fiscale è infatti tornata all’esame della Commissione, per un ulteriore esame. E si fanno sempre più rare le possibilità  di un esito positivo in questo ultimo squarcio di legislatura.

Agenzia terzo settore e osservatorio volontariato
Anche sul fronte degli enti di rappresentanza il 2012 è stato un anno di tagli. La decisione più importante è stata la chiusura dell’Agenzia del terzo settore (già  Agenzia per le onlus) a febbraio scorso. Le sue funzioni sono state inglobate all’interno del ministero del welfare. Una decisione che ha fatto molto discutere, soprattutto perché l’ente aveva una funzione di controllo e vigilanza delle attività  delle onlus, oltre che di promozione. “L’elemento della terzietà  andrà  a scomparire” ha ribadito più volte il suo ex presidente Stefano Zamagni. Sorte diversa per l’Osservatorio del volontariato, anch’esso soppresso per via della spending review, “ma che abbiamo deciso di riaprire – ha spiegato il sottosegretario Maria Cecilia Guerra – si dovrà  seguire l’iter normale con il passaggio al Consiglio di stato e alle commissioni di merito, ma la sua riapertura è comunque imminente. Sarà  un organismo ancora più rappresentativo”. Anche in questo caso non si sa se l’organismo vedrà  la luce prima della fine della legislatura. Sono stati soppressi, inoltre, il Comitato per i minori stranieri, la Consulta per i problemi degli stranieri immigrati, la Commissione di indagine sull’esclusione sociale e l’Osservatorio di promozione sociale. Quest’ultimo, nella volontà  del ministero, dovrebbe essere ripristinato.

La Conferenza nazionale del volontariato
Il 2012 è stato l’anno della Conferenza nazionale del volontariato, che si è svolta simbolicamente a L’Aquila (5-7 ottobre). Un appuntamento atteso dal 2007 – se pur  previsto per legge ogni tre anni – a cui il  mondo del volontariato è arrivato in tensione, sotto il peso della crisi e della spending review. Forti i dissensi per la scelta del governo di eliminare anche alcuni presidi di rappresentanza del sociale, tra cui  i citati Osservatorio e Agenzia per le onlus. Dissensi che hanno messo in dubbio perfino lo svolgimento della conferenza. Da L’Aquila il mondo associativo è uscito apparentemente rafforzato da richieste comuni e da un decalogo di impegni e istanze, elencate in una “Lettera al paese”, in cui si è detto pronto  a lavorare a fianco delle istituzioni per affrontare la crisi nella cura dei beni comuni e nella difesa dei diritti dei più deboli. Da questo appuntamento i volontari e le organizzazioni si aspettavano molto. Ma la loro forte presenza, circa 800 persone da tutta Italia, non è stata corrisposta da quella delle istituzioni. Assenti molti degli interlocutori degli enti locali e i ministri (tranne la Fornero in apertura) a cui questo mondo avrebbe voluto parlare su temi comuni: la gestione dei servizi, la non autosufficienza, i lea e i lep. La stessa Imu contro cui oggi le associazioni tornano a mobilitarsi.

Cooperazione internazionale, tra casse vuote e “sponsor imbarazzanti”
“Le mie dotazioni per il sostegno economico delle ong per il 2012 sono pari a zero”. La dichiarazione di Emilia Gatto, responsabile della cooperazione internazionale alla Farnesina, è arrivata a due giorni dall’apertura della Conferenza nazionale sulla cooperazione allo sviluppo, svoltasi a inizio ottobre a Milano. Una doccia fredda che ha frenato le già  scarse aspettative delle associazioni.
La conferenza ha poi aperto con alcuni sponsor “scomodi”: la presenza di Eni, Microsoft e Intesa San Paolo ha attirato già  in apertura le critiche di 12 ong, che nel documento “Cooperazione No logo” hanno scritto: “Siamo stupiti dal fatto che parte dell’organizzazione sarà  pagata da sponsor che hanno ripetutamente violato i diritti umani e calpestato i valori della cooperazione che vorremmo”. Il ministro Riccardi ha difeso così la sua scelta: “E’ giusto che le associazioni abbiano detto quello che si sentivano di dire. Io però dovevo trovare il modo per farlo questo Forum”. Era proprio l’unica azienda che poteva sostenere quest’iniziativa? “Non sono stato capace di trovarne altre”. Da parte sua l’amministratore delegato dell’Eni Paolo Scaroni, dal palco del Forum ha dichiarato che la “cooperazione è alla radice del successo di Eni in Africa”.

Non è un funerale, ma…
“Non abbiamo celebrato un funerale”: in conclusione del forum il ministro Riccardi ha auspicato la modifica della legge 49 sulla cooperazione: “Credo sia importante, ma non va fatta di fretta. Non riguarda me né questo governo che tra pochi mesi andrà  a terminare. Sono convinto che serva un ministro della Cooperazione, non perché voglia continuare, ma perché la scelta di un ministro è una scelta politica”. A conclusione del Forum, le ong hanno stilato il bilancio riportando l’attenzione sulla mancanza di fondi: “Il rilancio degli aiuti non può essere ancora rinviato. Il sostegno che Napolitano e Monti hanno manifestato non può essere disperso e deve essere rapidamente tradotto in precisi atti di governo e del parlamento”.
Intanto, nel triennio 2008-2011 gli stanziamenti del ministero degli Affari esteri per la cooperazione internazionale hanno registrato complessivamente un taglio del 78%. Sono passati da 732 milioni di euro nel 2008 a 326 nel 2010, per poi ridursi nel 2011 a 172 milioni (gennaio) e 158 (giugno). Nonostante le promesse del governo, l’Italia resta in ultima posizione tra tutti i paesi Dac (Comitato di aiuto allo sviluppo) dell’Ocse per quanto riguarda il “divario” che la separa dall’obiettivo stabilito dalle Nazioni Unite di investire lo 0,7% del Pil in Aps entro il 2015. (ec, ab, cch)

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Dal sovraffollamento al lavoro: dietro le sbarre i problemi di sempre

IL 2012 DEL SOCIALE. Quasi nessun effetto dal decreto “svuota carceri”, mentre la legge sulle misure alternative si è arenata e la legge sul lavoro ha esaurito il budget. E Antigone intitola il suo rapporto “Senza dignità ”

VENEZIA – È stato un anno difficile, il 2012, per le carceri italiane. Il sovraffollamento che tocca livelli record in Europa, i fondi per il lavoro dei detenuti che non ci sono, il ddl sulle misure alternative tanto voluto dal ministro Severino che, passato alla Camera, non è ancora riuscito a entrare nell’agenda del Senato. La situazione degli istituti di pena italiani è sintetizzata dal titolo dell’ultimo rapporto di Antigone, che fornisce i dati più recenti: “Senza dignità ”. 

I numeri
A fine ottobre erano 66.685 i detenuti: in larga parte uomini, giovani, per quasi due terzi italiani. Tra i condannati, oltre il 60 per cento aveva un residuo di pena inferiore a 3 anni. Le persone in custodia cautelare erano invece 26.804. Siamo il paese più sovraffollato d’Europa: ogni cento posti nelle celle italiane sono stipati 142 detenuti, quando la media Ue è di 99,6.

La legge svuota carceri
Lo scorso febbraio, proprio per contrastare questi numeri, è stata innalzata dai dodici mesi iniziali (legge n. 199 del 2010) a diciotto il tempo di pena residuo da scontare ai domiciliari. Complessivamente sono stati 8.267 i detenuti che ne hanno beneficiato. Ma l’associazione Antigone, che fa il punto sulla situazione, placa eventuali entusiasmi.
Il numero, che a prima vista può sembrare importante, non va messo in relazione con il numero dei detenuti presenti, ma con quello delle persone scarcerate dall’entrata in vigore della legge, quindi oltre 140mila. Senza contare che 20 mesi dopo l’entrata in vigore della legge, una parte di quanti ne hanno usufruito sarebbe fuori comunque. Dunque, poca cosa. Sono restati sullo stesso livello anche i suicidi in carcere. Nel 2011 erano stati 63, quest’anno al 18 dicembre si era arrivati a 60. Un tasso di quasi venti volte superiore a quello registrato nella società .

Le misure alternative
Approvato dalla Camera, il testo di legge sulle misure alternative prevede la reclusione domiciliare come alternativa al carcere e l’introduzione della “messa alla prova” già  testata nel sistema penale per i minorenni. Funzionerebbe così: gli interessati sono valutati da un giudice, per loro si stabilisce un piano di reinserimento sociale, il processo si ferma e il condannato, se è riuscito a superare la messa alla prova, viene restituito alla società .
Con 348 sì, 57 no e 21 astensioni il testo è passato al vaglio della Camera, ma è attualmente arenato al Senato. Il Guardasigilli, però, solo qualche giorno fa ha ribadito l’importanza della legge e si è detta determinata a farla approvare prima di fine legislatura.

Lavoro dei detenuti
Meno di un detenuto su cinque svolge attività  lavorativa in carcere. Nel primo semestre del 2012 hanno lavorato 13.278 detenuti: è la percentuale più bassa dal 1991. Ancora una volta i numeri sono di Antigone, che parla di un calo del 71% dei fondi per le mercedi, passati dagli 11 milioni del 2010 ai 3.168.177 euro del 2012. Nella maggior parte dei casi le buste paga dei detenuti non superano i 30 euro mensili.
La “legge Smuraglia”, che prevede benefici fiscali e contributivi per le imprese che assumono detenuti o svolgono attività  formative nei loro confronti, ha visto esaurirsi il budget 2011 prima ancora della fine dell’anno e le aziende hanno dovuto rinunciare, in tutto o in parte, agli sgravi, vedendosi spesso costrette a terminare il rapporto di lavoro. Ma il nuovo anno sembra portare buone nuove: la legge di Stabilità , ora in approvazione al Parlamento, contiene infatti un innalzamento dei fondi, come promesso dal ministro Severino in più occasioni. (gig)

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La sanatoria che ha regolarizzato soprattutto colf e “badanti”

IL 2012 DEL SOCIALE. Quattro immigrati su cinque che hanno fruito del decreto per sanare il rapporto di lavoro ha dichiarato di svolgere lavori domestici. Ma il costo inferiore della pratica è stato determinante. Emergenza nord africa, arrivata la proroga

ROMA – Una sanatoria che ha deluso le aspettative; l’Italia condannata dalla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo per i respingimenti; la Carta blu per i lavoratori qualificati. Sono questi alcuni tra gli eventi più significativi che hanno caratterizzato il 2012 degli immigrati in Italia. 

Una sanatoria… per colf
Il 2012 è stato l’anno di una nuova sanatoria. Il decreto 109/2012 ha introdotto sanzioni più severe contro i datori di lavoro che occupano illegalmente stranieri o che li sfruttano in modo particolarmente grave e ha disposto che al lavoratore che denunci il proprio datore possa essere rilasciato un permesso di soggiorno per motivi umanitari (verosimilmente convertibile in altro permesso a conclusione del procedimento).
Lo stesso decreto ha previsto la regolarizzazione dei rapporti di lavoro illegali instaurati con gli stranieri, la cosiddetta sanatoria.
Il via alle domande è stato dato il 15 settembre 2012. L’invio si è concluso alla mezzanotte del 15 ottobre con 134.576 domande arrivate. In totale, 115.969 per il settore domestico e 18.607 per il lavoro subordinato, dall’edilizia al commercio.
Un risultato che ha sollevato il sospetto che gli immigrati abbiano presentato la domanda nel settore domestico perché la cifra richiesta era più bassa, salvo poi cambiare datore di lavoro una volta ottenuto il permesso di soggiorno. Spiega Giuseppe Casucci, responsabile immigrazione della Uil: ”I costi per una richiesta relativa a colf e badante non superano i 2 mila euro (tra una tantum e contributi previdenziali), mentre in settori come l’edilizia o commercio o agricoltura il costo può essere dalle tre alle cinque volte maggiore”.

Un flop “positivo”
In generale, da più parti si è parlato di sanatoria-flop, soprattutto perché si stima che gli irregolari in Italia siano 500 mila (rapporto dell’European migration network “Canali migratori” presentato il 14 marzo 2012). Ma il ministro per la Cooperazione e l’integrazione Riccardi, che aveva parlato di circa 150 mila interessati, ha rivendicato così la scelta della sanatoria: “La regolarizzazione è stata positiva, chi ha giocato il ruolo principale sono state proprio le famiglie, che si sono dimostrate responsabili e disponibili a pagare la tassa di mille euro per gli stranieri”.
Diverso il discorso per la condotta delle imprese con lavoratori stranieri irregolari: “Le vere grandi situazioni di illegalità , penso al caporalato nel mondo agricolo ad esempio, si tengono ben lontane dalla regolarizzazione e quindi ora andranno incontro ai rigori della legge”, ha detto ancora il ministro Riccardi.
Dopo la conclusione della sanatoria, Saverio Ruperto, sottosegretario all’Interno con delega all’Immigrazione ha annunciato che il ministero stava valutando l’ipotesi di considerare valide anche le domande di regolarizzazione compilate, ma non inviate: quasi 7 mila. In questo modo le richieste salirebbero a 141.498.

Emergenza Nord Africa, arriva la proroga di 6 mesi
Il 2012 si chiude con una buona notizia per l’emergenza Nord Africa, in scadenza il 31 dicembre. Natale Forlani, direttore generale dell’Immigrazione e delle politiche di integrazione presso il ministero del Welfare ha annunciato una proroga di 6 mesi del sistema di assistenza, oltre a un’intesa col ministero dell’Interno per un piano di inserimento socio-lavorativo.
Sono oltre 17.500 i profughi tutt’ora ospitati nei centri dell’emergenza Nord Africa (alberghi, centri della rete associativa, strutture comunali, appartamenti, caserme).
Di questi, 7.800 hanno presentato domanda di protezione umanitaria (dato del ministero dell’Interno aggiornato al 7 dicembre). “Non resteranno per strada”, ha assicurato Forlani, rispondendo agli appelli delle associazioni preoccupate. Il costo sostenuto per l’emergenza Nord Africa è di 1,292 i milioni di euro stanziati nel 2011-2012, di cui poco meno di 600 destinati direttamente all’accoglienza.
Al di là  dell’emergenza Nord Africa un ampliamento di capienza dello Sprar – che attualmente dispone di 3 mila posti di accoglienza per i rifugiati finanziati dal Fnpsa (Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo) – fino a 5 mila posti è stato annunciato dal ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri durante l’audizione presso la Commissione Diritti Umani del Senato del 27 novembre. (ab)

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Giochi, decreto anti slot e ludopatie, mentre comuni e gestori fanno da sé

IL 2012 DEL SOCIALE. Ennesimo anno record, con proiezioni che parlano di 103 miliardi giocati in Italia. Il “Decreto Balduzzi” pone i primi divieti e nel frattempo campagne di prevenzione e enti locali tentano di limitarne le derive sociali

ROMA – Il 2012 è stato un anno importante per il gioco d’azzardo in Italia. Importante per la sua evoluzione, per l’incremento del volume delle giocate e degli introiti da parte dello Stato; importante per i tentativi di porre un argine alle derive patologiche e ai riflessi negativi del gioco sulle fasce deboli della società . Tentativi che sono poi confluiti nel cosiddetto “Decreto Balduzzi”, da poco approvato dal Parlamento. Ma andiamo con ordine. Partendo proprio dal testo approvato in via definitiva al Senato lo scorso 31 ottobre.

Il decreto
Nel cosiddetto “Decreto Balduzzi” sulla sanità , spazio anche al divieto dei giochi on line nei pubblici esercizi. “E’ vietata la messa a disposizione presso qualsiasi pubblico esercizio di apparecchiature che, attraverso la connessione telematica, consentano ai clienti di giocare sulle piattaforme di gioco messe a disposizione dai concessionari on-line, da soggetti autorizzati all’esercizio dei giochi a distanza, ovvero da soggetti privi di qualsiasi titolo concessorio o autorizzatorio rilasciato dalle competenti autorità ”, si legge.
Scattano maggiori tutele dei minori per evitare che siano vittime di chi pubblicizza i giochi con vincita: niente spot al cinema durante i film per piccoli, niente pubblicità  sulla stampa dedicata, durante (ma anche mezz’ora prima e dopo) le trasmissioni tv per under 18. Raddoppiano i controlli annui (saranno 10 mila) destinati al contrasto del gioco minorile, nei confronti degli esercizi dove si trovano slot machine. Sarà  poi necessario un piano di ricollocazione delle slot lontano da zone sensibili come scuole o luoghi di culto, e le pubblicità  dei giochi dovranno indicare le probabilità  di vincita. Il decreto riconosce infine la dipendenza da gioco d’azzardo, la ludopatia, come una patologia da curare presso i servizi pubblici per le dipendenze. Va ricordato però come il decreto sia uscito piuttosto ridimensionato rispetto alla prima scrittura. Un aggiornamento al ribasso frutto, sottolineano le associazioni promotrici della campagna “Mettiamoci in gioco”, della pressione delle lobby (che lo hanno poi ulteriormente depotenziato con alcuni emendamenti alla legge di stabilità ). Infatti, “l’inserimento del gioco d’azzardo patologico nei Livelli essenziali di assistenza non è accompagnato da una copertura finanziaria, i limiti alla pubblicità  sono poco incisivi perché calibrati esclusivamente sui minorenni (e non tengono conto di tutte le forme di comunicazione), non viene dato alcun potere reale ai sindaci, ecc…”. Ed è stato diminuito anche il limite di distanza per i nuovi giochi da scuole, ospedali e chiese, portato da 500 a 200 metri. Anche per l’Anci il decreto Balduzzi è “insufficiente a contrastare il fenomeno. Non si può porre solo il problema sanzionatorio, bisogna pensare a come portare avanti un cambiamento culturale”.

La rivolta dei comuni
Precedentemente all’approvazione del decreto, il presidente della Camera Fini aveva ricevuto una delegazione che aveva consegnato una petizione popolare sottoscritta da oltre 16.500 cittadini, prevalentemente genovesi, per la regolamentazione delle sale da gioco Videolottery Terminal (VLT) – sale scommesse. Mentre a Vicenza il primo cittadino ha dichiarato guerra a scommesse e slot machine: “Molti i casi non conosciuti di persone che si rovinano perché non riescono a uscire dal vortice del gioco”. Una guerra al gioco condivisa anche dal sindaco di Pavia, Alessandro Cattaneo. Incontratisi a giugno per pianificare azioni comuni, i due sindaci hanno lamentato l’assenza dello Stato su tale, delicata questione. Altissimi sono, infatti, i costi sociali del gioco: ogni anno in Italia vi sono dai 5,5 ai 6,6 miliardi di euro di costi complessivi per la società  dovuti al gioco patologico (tra costi sanitari diretti e costi indiretti, come perdita di performance lavorativa e perdita del reddito).
E proprio in “assenza” dello Stato, gli enti locali prendono provvedimenti. Il 19 novembre, per esempio, il consiglio comunale di Reggio Emilia, su proposta della giunta, ha votato una variante al regolamento urbanistico edilizio che, fra le novità , introduce norme restrittive sul piano urbanistico per l’insediamento di sale da gioco pubbliche.

Codice di autodisciplina e campagne di prevenzione
Il codice di autodisciplina è stato adottato lo scorso settembre dalle oltre 6.600 imprese concessionarie che aderiscono a Sistema gioco Italia, l’associazione di categoria aderente a Confindustria. È stato redatto con la collaborazione dell’Istituto di autodisciplina pubblicitaria (Iap) che ora avrà  il compito di vigilare sul suo rispetto. Esso prevede che spot e manifesti dovranno avere “una chiara e precisa avvertenza” sul divieto per i minori e non dovranno “suggerire che il gioco risolve i problemi”. Da sottolineare che il mondo dell’azzardo investe in pubblicità  circa mezzo miliardo di euro all’anno, soprattutto in rete.
Il 4 dicembre scorso è stata presentata anche “Mettiamoci in gioco”, campagna nazionale contro i rischi del gioco d’azzardo promossa da diverse associazioni (Acli, Adusbef, Alea, Anci, Anteas, Arci, Auser, Avviso Pubblico, Cgil, Cisl, Cnca, Conagga, Federconsumatori, Federserd, Fict, Fitel, Fondazione Pime, Gruppo Abele, Intercear, Libera, Uisp). Tra le altre cose, le associazioni chiedono di: frenare il modello di “liberalizzazione controllata”, con moratoria sui nuovi giochi; restituire potere decisionale alle comunità  locali; impedire la pubblicità ; inserire il gioco d’azzardo patologico all’interno dei Lea.
A Venezia, invece, il comune ha fatto partire la campagna Non farti giocare, dedicata principalmente ai giovani.

I numeri: spese enormi e dipendenze
Secondo il Conagga (Coordinamento nazionale gruppi per giocatori d’azzardo), nel 2011 il mercato mondiale dei giochi d’azzardo ha raccolto, al netto dei premi erogati, 417 miliardi di euro (+5,6 per cento sul 2010). Il 29 per cento di questi sono in Europa. L’Italia, con 18,4 miliardi di euro, rappresenta oltre il 15 per cento del mercato europeo del gioco e oltre il 4,4 per cento del mercato mondiale.
In generale, cresce in Italia la spesa sul gioco d’azzardo. Il fatturato è passato dai 14,3 miliardi del 2000 ai quasi 80 (79,9) del 2011 (erano 61,4 miliardi nel 2010). Una crescita costante nel tempo. La spesa pro-capite per ogni italiano maggiorenne è di 1.703 euro (elaborazione su dati dei Monopoli di Stato, relativi ai primi 8 mesi del 2012). Secondo il dossier Azzardopoli di Libera, invece, si arriverebbe a 1.890 euro a testa.
E se è vero che nel 2011 sono crollati i risparmi delle famiglie, è anche vero però che l’Italia è il primo mercato al mondo nei Gratta e vinci: nel 2010 sono stati comprati nel nostro Paese il 19 per cento dei biglietti venduti nel mondo. A livello pro-capite l’Italia ha il triplo delle Vlt degli Stati Uniti. Non solo: pur rappresentando solo l’1 per cento della popolazione mondiale, ha il 23 per cento del mercato mondiale di gioco on line. 
Nei primi 8 mesi del 2012 sono stati giocati 56,9 miliardi di euro, equivalenti al 17,7 per cento in più rispetto allo stesso periodo del 2011. Se la percentuale di aumento resta stabile si può ipotizzare una proiezione di complessivi 94 miliardi di euro spesi al gioco d’azzardo nell’anno 2012 (secondo Libera la proiezione porterebbe addirittura a 103 miliardi, tra guadagni legali e illegali). Nel primo semestre 2012 all’Erario sono andati 4,1 miliardi di euro, con una diminuzione del 9,9 per cento sullo stesso periodo dell’anno precedente. Se la percentuale di diminuzione resta stabile si può ipotizzare una proiezione a fine anno inferiore a 8 miliardi.
Infine, secondo una recente elaborazione del Cnr sui dati della ricerca IPSAD Italia 2010-2011, sono 2 milioni gli italiani sono a rischio minimo; 1 milione di persone, invece, rispondono ai criteri diagnostici certificati come giocatori d’azzardo patologici e sono ad alto rischio. (daiac)

Speciale a cura di Giovanni Augello, Alessandra Brandoni, Eleonora Camilli, Stefano Caredda, Carla Chiaramoni, Giorgia Gay, Daniele Iacopini, Chiara Ludovisi, Laura Pasotti, Francesco Spagnolo.


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