Welfare in saldo, non ci stiamo

by Sergio Segio | 5 Dicembre 2012 7:39

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Il nostro Paese sta subendo una profonda trasformazione grazie a scelte di politiche pubbliche orientate verso la graduale distruzione del Welfare. Ma quali sono le prime conseguenze sui nostri territori? Il carcere con il suo sovraffollamento rappresenta l’emblema di un sistema che rinchiude i devianti negando nei fatti diritti riconosciuti dalla Costituzione e dalle leggi dello Stato. I programmi alternativi, la realizzazione di progetti domiciliari, la creazione di percorsi di cura sui territori sono oggi impossibili a causa della mancanza delle necessarie risorse economiche. Non rimane che la galera, anche per quelle persone per cui la detenzione rischia di diventare causa di morte.
Veniamo alle nostre città . Di recente sono rispuntate le ordinanze di Sindaci zelanti contro prostitute, senza fissa dimora, minori, Campi Rom. Le prostitute vittime degli sfruttatori vengono denunciate, espulse, multate e costrette a subire condizioni sempre più degradanti e pericolose in contesti dove scompaiono o si riducono al minimo le iniziative per sottrarle allo sfruttamento e ai racket. Lo stesso destino per i senza fissa dimora: guai a loro farsi sorprendere a chiedere aiuto. Il nuovo reato di accattonaggio li promuove a criminali senza che i Comuni possano più offrire posti letto nei dormitori, mense, servizi sanitari gratuiti, centri d’ascolto, sostegno. Per loro non rimane che il carcere, la grande discarica sociale. Anche ai giovani è riservata l’attenzione dell’apparato repressivo, che impegna risorse, personale e tecnologie per disperdere i rave party (esponendoli a rischio di vita come accaduto a Cusago lo scorso ottobre): annullando i percorsi di riduzione dei rischi costruiti fino al 2010 dagli operatori della prevenzione, ai quali spesso è perfino impedito l’accesso alle aree interessate. Anche in questi casi, la repressione è l’unico modello di intervento che sopravvive alla scomparsa di tutte le risorse destinate alla prevenzione.
Infine gli stranieri, ai quali la perdita (o la mancanza) del lavoro porterà  alla revoca del permesso di soggiorno; divenendo per ciò stesso fuorilegge, colpevoli solo di non aver lasciato il Paese che li ha usati e gettati nel momento in cui la crisi si abbatte sui più deboli. Con l’alto rischio di finire anche loro in carcere o in quei Cie (Centri di Identificazione ed Espulsione) che più volte sono costati all’Italia pesanti condanne anche dall’Unione Europea. Repressione quindi. Che sola sopravvive in un contesto dove tutti gli altri strumenti di governo dei fenomeni sociali complessi scompaiono.
* Comunità  di San Benedetto al Porto, Genova

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