Urne ad alta tensione mentre Morsi perde i pezzi
GIZA. Quando si vedono file ordinate di decine di uomini e donne, giovani e vecchi, che aspettano alcune ore prima di poter votare, in un ambiente di degrado e abbandono, sembra sempre che un riscatto sia possibile. Ma quest’illusione spesso si scioglie all’annuncio dei risultati. È il caso dell’immenso e poverissimo quartiere di Boulaq Dakrur nel governatorato di Giza. Ci sono polvere e rifiuti dovunque. Nessun tassista è felice di arrivare fin qui. «Quando un principe europeo chiese al re Farouk di visitare le strade più povere in Egitto lo condussero qui. E nulla è cambiato, le vie sono a pezzi, molti giovani sono piccoli criminali. Ho sentito che il commercio di hashish è fiorente in queste strade», ci spiega un vecchietto che sorseggia un tè su via Naiia, tra un ferramenta e un meccanico. A fianco dei bambini scorticano una macchina con la fiamma ossidrica, in fondo si vedono lunghissimi sottopassaggi di alti viadotti, illuminati da lampadine dove le macchine arrancano. Un odore acre di rifiuti dati alle fiamme invade queste strade. Qui i «sì» alla Costituzione hanno molto più seguito che nei quartieri popolari e operai della Cairo urbana. Il secondo turno chiama al voto governatorati remoti e zone poverissime, spesso roccaforti dei Fratelli musulmani. «È diritto di un presidente avere grandi poteri. Ma questo non vuol dire che tornerà Mubarak, dovrebbero avere fiducia in Morsi», comincia Sayd, un vecchio in fila alle porte della scuola Abu Thelim Asar. Ma basta avvicinarsi a un giovane che la risposta è opposta: «Questa Costituzione non concede di certo giustizia ai poveri. Le decisioni che ha preso fino a questo momento Morsi mi sembrano fallimentari», sono le parole di Ahmed, 18 anni, studente di ingegneria. «Ho detto “no” perché trovo ingiusto legare i salari alla produzione e senza senso che in questa elezione così importante non sia previsto un quorum», aggiunge Dina, avvocato di 27 anni. Ma a Boulaq Dakrur la tensione monta in un istante. E così davanti alla scuola Matilka Kamal Talim, basta un urlo contro Morsi che scoppia la rissa. Decine di uomini e donne danno vita a tafferugli che bloccano la strada. La polizia e i militari sono dispiegati in numero maggiore rispetto al primo turno. Alcune attiviste di organizzazioni non governative, munite di appositi permessi, vengono allontanate dall’ingresso dei seggi. Il clima in Egitto è ben più teso che al primo turno dello scorso 15 dicembre. Nella città satellite di 6 Ottobre, l’ex presidente della Camera, Saad al-Katatny è stato duramente contestato. Sette persone sono rimaste ferite in scontri fuori dai seggi a Port Said e nel Sinai. Entriamo nel seggio della scuola Sofia Zaghloul di Boulaq Dakrur. «Il primo capitolo della Costituzione è il peggiore, dà ai cittadini poteri reali per preservare la moralità . In meno di un anno Morsi sarà come Mubarak», assicura Hassan, 50 anni, avvocato, prima di votare. Nel cortile uomini e donne cercano il loro nome in lunghe liste elettorali per stabilire in quale aula debbano recarsi. Nelle piccole classi, ci accolgono il giudice e lo scrutatore. Gli uomini si recano dietro il paravento per votare dopo aver firmato sulla lista che porta il loro nome. Lo sciopero dei magistrati ha reso molto più complesse le procedure elettorali, in questo seggio come in molti altri, il giudice che supervisiona il voto se non è direttamente un politico di Libertà e giustizia è almeno un simpatizzante del movimento islamista e non ha preso parte al boicottaggio promosso dall’Associazione della magistratura egiziana. Fuori dai seggi torna l’anarchia di Boulaq Dakrur. Dei giovani in bicicletta trasportano decine di pani sulla testa. Centinaia di negozi di vestiti e manichini per strada rendono impossibile camminare. Ci sono divani e poltrone dappertutto come a sostituire panchine. Più avanti si moltiplicano venditori di aringhe prima della chiesa di via Ashra, all’ingresso della quale tutti i ragazzi assicurano di aver votato «no». Carretti trainati da asini passano uno dietro l’altro insieme a camioncini che portano grandi pezzi di ghiaccio. Molti scappano da Boulaq Dakrur, tra loro i tre fratelli Ahmed, Khaled e Mohammed che tutte le notti lavorano nel mercato di Bab el-Louk per fabbricare borse di plastica da vendere al mercato nero. «Abbiamo votato “no” perché dal 25 gennaio 2011 non è cambiato nulla», considera uno di loro, mentre pigia il piede sulla macchina per l’ennesima cucitura. Nella sera di sabato, arrivano notizie di nuove dimissioni dell’entourage di Morsi. Dopo consiglieri e sottosegretari alla presidenza, anche il vice, Mahmoud Mekki, ha lasciato il suo incarico. Mekki aveva svolto un ruolo essenziale nel favorire il dialogo tra islamisti e movimenti di opposizione. La funzione delicata di magistrato aveva ritagliato per Mekki il ruolo di mediatore dopo il tentativo di imbavagliare la magistratura con l’inappellabilità delle decisioni presidenziali, prevista nel decreto pigliatutto del 22 novembre scorso. Il vice presidente aveva più volte difeso le proteste dei magistrati e tentato di convincere Morsi a rinviare il referendum. Dopo Mekki, si è dimesso anche il governatore della Banca centrale egiziana, Faruq el Hoqda. I nfine, venerdì notte, il presidente Morsi ha reso nota la lista dei 90 esponenti della Shura, la Camera alta, di diretta nomina presidenziale. Si tratta di un passaggio di grande importanza perché, in caso di vittoria dei «sì», la Shura acquista pieni poteri legislativi. Tra i nominati, ci sono quattro generali dell’esercito, dodici cristiani, sindacalisti e leader tribali del Sinai. Secondo il portavoce di Morsi, Yasser Ali, il 75% dei nominati ieri non appartiene al fronte islamista.
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