Una pazza legislatura dal bazar dei voti a Ruby

by Sergio Segio | 23 Dicembre 2012 9:01

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LA LEGISLATURA più pazza della Repubblica, a pensarci bene, era già  ben iscritta nel bigliettino che nella seduta inaugurale della Camera, 13 maggio 2008, il presidente del Consiglio Berlusconi fece recapitare da un commesso a due sue graziose deputatesse. Questo il testo: «Care Nunzia e Gabry, state molto bene insieme! Grazie per restare qui, ma non è necessario. Se avete qualche invito galante per colazione, Vi autorizzo (ben sottolineato, ndr) ad andarvene!».
E SUL retro: «Molti baci a tutte e due!!! Il “Vostro” presidente». Poco prima, prendendo posto per la prima volta nell’aula di Montecitorio, i sei deputati radicali eletti con il Pd avevano trovato sui loro scranni altrettante medagliette con immagini sacre. Non era chiaro se si trattava di un esorcismo o di una protezione. Né l’uno né l’altra hanno comunque salvato l’istituto parlamentare dal più spaventoso e al tempo stesso dal più pagliaccesco sfascio politico e istituzionale.
La XVI legislatura, la più pazza appunto — e non lo si dice come il Cavaliere che ogni tanto si fa tornare utile l’Elogio della follia di Erasmo — fatica addirittura a chiudersi nel caos cialtronesco di provvedimenti senza capo né coda, ma utili a favorire il furbo privilegio di pochi, oltre che lo sgomento dinanzi all’estremo carnevale.
E non deve sfuggire, ancora una volta, il nesso inconfessabile ma palpitante che esiste tra la catastrofe e la buffoneria, per cui l’altro giorno il senatore Fluttero ha distribuito gianduiotti in aula; l’onorevole Adinolfi, già  noto per aver quasi perso i pantaloni in aula, si è messo a cantare «Fratelli d’Italia»; e il suo collega Baldelli, vicepresidente del gruppo del Pdl, ha preso la parola per la dichiarazione di voto sul decreto elezioni producendosi in un’apprezzata imitazione del capogruppo Cicchitto; mentre l’onorevole Barbato, cui si deve il lancio di un sacco dell’immondizia sui banchi del governo, con susseguente scazzottatura e breve passaggio al pronto soccorso, ha così concluso, complice il clima natalizio, il suo discorso di congedo: «Auguro a tutti di andare a quel paese ».
Uh, come sono malmostosi gli osservatori politici! E che sarà  mai, anche gli onorevoli hanno diritto di divertirsi. E tuttavia, e al netto di qualsiasi apocalittica ombra, e depressiva, è parso di cogliere in questi ultimi giorni, ma anche nei ricordi che si affollano e si aggrovigliano un’impressione molto forte di cupio dissolvi, con tanto di arcani preavvisi: un’anatra zoppa precipitata nel cortile dei fumatori di Montecitorio, l’asta della bandiera che s’incrina sulla facciata, un poveraccio che una notte si dà  fuoco sulla piazza, sotto il palazzo dove si fa la Norma, e dopo qualche giorno muore. Che si voleva di più?
E così adesso non tornano alla mente scorrevoli passaggi parlamentari, diritti conquistati, leggi precise e ben fatte, dibattiti che aprivano alla speranza, qualche rinuncia, qualche sacrificio. Niente. Ma sventolio di striscioni nell’emiciclo e cori mugghianti da stadio, «Cro-zza! Crozza! » quando interveniva Bersani, «Trota! Tro-ta!» allorché qualche leghista esagerava, «Mu-nni-zza! Mu-nni-zza!» nel caso di Scilipoti; e poi il ministro La Russa che al culmine di una delle sue abituali scalmane mandava il presidente Fini affanculo, con rispetto parlando, ma no, avete frainteso, e insomma il collegio degli onorevoli Questori si è dovuto riunire davanti a una moviola per osservare il labiale (risposta positiva). E il voto di tutte e due le assemblee su Ruby, accettata a maggioranza come nipotina di Mubarak.
Mai come in questi quattro cinque anni, in realtà , i luoghi deputati e un tempo sacralizzati dal potere sono apparsi irrilevanti, vuoti, travolti. Eppure in nessun altro posto meglio che nel Parlamento si è potuto avvertire il segno di quell’euforia isterica e pastrocchiona dietro cui, fra risate amare e vana concitazione, prendeva forma l’annuncio buffo e terribile di uno smottamento definitivo, di una calata nel basso, la fine dell’antica dignità  politica. Le deputate di “Forza gnocca” che si rifacevano il trucco durante le sedute, quell’altro che consultava il sito di escort, quell’altro ancora che dormiva, che è sempre successo, ma ormai senza vergogna. Mesi e mesi di compravendita di onorevoli, un mercato permanente sotto le volte del Transatlantico e nei corridoi meno frequentati, peones che alla fine della giostra hanno girato cinque sei sette gruppi parlamentari dai nomi sempre più incredibili, «Io Sud», «Grande Sud», «Ausonia », e ogni volta inventandosi le motivazioni più pietose e irreali.
Visioni, bizzarrie, mal di testa. La faccia di Monti nel vedere la leghista intervenire vestita da operaia. La Mussolini che alla buvette bacia sulla bocca Cosentino. Poi sempre lì al bancone compare Pippo Franco, interessato ai progetti dei Responsabili. La veggente di Medjugorie che passa a salutare Gasparri. Il pellegrinaggio in Terra Santa che stava per ritardare l’avvio dei lavori. L’anonimo sicario che scatta una foto a Bocchino mentre parla con la Carfagna. E i corsi per sommellier a Palazzo Madama. E le settimane gastronomiche regionali. E ben tre ipocriti narco-test, sono stati organizzati, pure in concorrenza fra loro, con tanto di fotografi chiamati a riprendere la cerimonia del taglio del capello, ma con i risultati rigorosamente anonimi.
Dice: puro folclore, bieco colore, distillato di furore antiparlamentare. Inezie destinate a scomparire negli annali della Grande Storia. E’ tutto più semplice. Tra il 2008 e il 2013 l’Italia ha visto il trionfo del berlusconismo, la sua inaspettata e poi lentissima agonia per via degli scandali sessuali e della crisi economica; e infine la stagione dei tecnici. Tra i momenti decisivi dell’attività  delle Camere si possono convenzionalmente annoverare: il lodo Alfano, il caso Englaro, il percorso federalista, l’arresto di Papa (e poi di Lusi). Ma oggi tutto rivive nella memoria come una triste illusione: Papa è uscito, Lusi sta in convento, Eluana è morta, Alfano è sempre lì, poveraccio, e per quanto benedetto dall’intera famiglia Bossi in tribuna, il federalismo te lo raccomando. Per non dire il tempo e l’energia sprecati appresso al Porcellum e alle altre astruse ingegnerie istituzionali entro cui si rispecchia l’inettitudine del ceto politico.
E si provi per un attimo a metterla a confronto con quanto nel frattempo andava allestendosi nella stessa piazza di Montecitorio, tra presìdi mutevoli e ormai permanenti come in Argentina, politrasfusi, malati di Sla, maestre di scuola, lavoratori dei circhi. La piazza dei rigatoni di Bossi e Alemanno e di Beppe Grillo che deposita un cesto di cozze marce. Caleidoscopio di verità  dolorose e gabbia di matti. La Russa che sale sul predellino della decapottabile d’epoca, gli operai, gli studenti, le botte, i fumogeni, i lacrimogeni, le frattaglie, la guerriglia, ma anche le iene, i sosia, i gabibbi, i profeti del condom, i portaborse, la vecchietta che interrompe le interviste, «ahò, ma che stai a dì?».
Al Senato un giorno i manifestanti sono riusciti a sfondare conquistando l’atrio. Ma dentro, nell’aula bomboniera, Bossi sbadiglia a ripetizione, Berlusconi si addormenta, il ministro Bondi non sa se svegliarlo o no, Tremonti fa finta di nulla, e una volta destatosi il Cavaliere gli carezza la testa, oppure gli mette una caramella davanti, come a un cagnolino — e poi ricominciano a litigare. E’ un film muto e a suo modo sconvolgente, questo della legislatura più folle. Patologia del potere, cattivo sogno, disastro buffo.

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