Una notte di scontri e arresti le due anime dell’Egitto invadono le vie del Cairo

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IL CAIRO — Si chiama Ahmad, è un giovane alto e magro e senza barba, potrebbe essere uno dei manifestanti che presidiano il palazzo presidenziale per chiedere il ritiro della bozza costituzionale che minaccia di trasformare l’Egitto in una società  islamizzata. Invece è qui, davanti alla moschea di Rabaa el Adaweya, con migliaia di salafiti con le barbe lunghe e i pantaloni alla zuava come si crede li portasse Maometto, con i jihadisti e i Fratelli musulmani del presidente Morsi. Si sentono i rappresentanti di tutto l’Egitto, se non addirittura il popolo di Dio. «Sono qui per difendere Morsi» dice. «Morsi è stato eletto. Anche Obama è stato eletto con il 51 per cento ma nessuno ha protestato. Questa è la democrazia ». «Sì alla legittimità  democratica » era la parola d’ordine della manifestazione dei sostenitori di Morsi. A poche miglia di distanza da qui altri giovani, liberali, di sinistra e delle minoranze cristiane, aprivano con gesto di sfida brecce tra i blocchi di cemento messi dall’esercito e si avvicinavano al palazzo presidenziale, protetto dai carri armati. I militari, che ieri avevano ricevuto da Morsi poteri da stato di emergenza che li autorizza ad arrestare i civili, li hanno lasciati fare.
Due mondi, due campi divisi, sono sfilati ieri per le strade del Cairo. Due narrazioni contrapposte delle vicende di questi giorni: quella di Ahmad, che era presente con i suoi amici agli scontri di mercoledì scorso quando morirono otto persone, e che afferma che le vittime apparteneva alla Fratellanza; e quella dei giovani che mostrano i video in cui si vedono chiaramente gruppi di islamisti disciplinati e ben organizzati che aggrediscono i manifestanti. Come è successo ancora la notte scorsa a piazza Tahrir, dove una decina di persone sono state ferite quando degli incappucciati muniti di coltelli e bastoni hanno fatto irruzione nelle tende in cui gli oppositori di Morsi mantengono i loro presìdi.
Le Forze armate, che nei giorni scorsi aveva affermato «che non lasceranno precipitare il paese nella catastrofe» cercano una mediazione. Il ministro della Difesa Al Sissi, che è anche il capo di Stato maggiore, ha chiesto ieri a tutti i partiti politici,
ai rappresentanti dell’Università  Al Azhar, la massima autorità  teologica del mondo sunnita, e a quelli della società  civile di riunirsi per avviare immediatamente un dialogo nazionale. L’incontro è fissato per il pomeriggio di oggi al Villaggio Olimpico. La Fratellanza musulmana ha già  risposto che parteciperà  al colloquio. «L’invito viene dalle Forze armate con il permesso del presidente. È chiaro che parteciperemo » ha detto il portavoce Mahmud Ghozlan. L’opposizione, riunita nel Fronte di Salvezza nazionale presieduto da El Baradei e dall’ex capo della Lega araba Amr Moussa, darà  la sua risposta stamani.
Anche la magistratura, che deve supervisionare le operazioni di voto per il referendum, è divisa. La partecipazione dei magistrati era stata garantita nei giorni scorsi dal Consiglio superiore della Giustizia, l’organo di governo dei giudici legato alla Fratellanza musulmana, ma ieri il presidente dell’Associazione magistrati, El Zend, ha annunciato che i magistrati diserteranno al 90 per cento la supervisione del referendum perché la bozza costituzionale «contiene attacchi contro l’amministrazione della giustizia». Il numero due del Consiglio di Stato, Magdi al-Gahri, ha precisato che il numero dei giudici non sarebbe perciò sufficiente a supervisionare le operazioni di voto. Dalla decisione dei magistrati l’opposizione aveva fatto dipendere la decisione se chiedere agli egiziani di boicottare il referendum o di votare per il no. Gli Usa, principali alleati dell’Egitto, sono tornati a far sentire la loro voce avvertendo che non si può tornare ai “giorni bui” dell’era di Mubarak e chiedendo alle forze armate di esercitare moderazione nel «mantenere l’ordine, rispettando i diritti di quanti manifestano pacificamente».


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