Un vessillo nero sugli Stati falliti
Il Nord del Mali è oggi il cuore dello spazio geopolitico islamista radicale in Africa. Vi si muovono gruppi dalle capacità militari, dalla composizione etnica, dalla convinzione ideologica, assai diverse.
Ansar Dine, guidato Iyad Ag Ghali, ha soppiantato il Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad, secessionista e laico, che con la sua azione armata ha provocato la deflagrazione territoriale dello stato africano. Ansar Dine è alleato con il Movimento per l’unicità e il jihad in Africa Occidentale (Mujao) di Hamada Kheirou, transfuga dall’Aqmi in polemica con l’emiro Droukdel, accusato di non valorizzare i non algerini. Nel Mujao, che controlla la città di Gao, militano oltre che arabi, saharaui delusi dal Polisario e persino militanti di Boko Haram in fuga dalla Nigeria.
Ma è l’Aqmi, sospinto non certo disinteressatamente fuori confine dal potere algerino, il regista poco occulto della scena maliana. I suoi militanti sono nell’area da anni. Prosperano sulle divisioni interne delle altre componenti, afflitte da conflitti etnici e tribali, da sindromi del bottino diseguale, da ambizioni non nascoste dei loro leader. E sui proventi ricavati dalla presa di ostaggi occidentali, dal contrabbando, dal traffico di diamanti e droga organizzati da Mokthar Belmoktar, teorico dell’allargamento della base familiare della sua cellula mediante matrimoni con ragazze locali. Il “diritto di necessità ” legato alle esigenze del jihad legittima la contaminazione del credo purista con pratiche illecite.
È sotto questa cupa volta ideologica che sono cadute le città maliane del Nord. A Timbuctù, deculturata dalla brutale cancellazione dell’eredità sufi, si è insediato l’algerino Abu Zeid, capo della principale katiba, cellula, dell’Aqmi. Nella “città dei santi” le donne vengono duramente punite se non indossano il velo. A Aguelhok una coppia “illegittima” è stata lapidata; a Gao le flagellazioni pubbliche con le fruste usate per i dromedari sono all’ordine del giorno, anche per chi fuma o beve alcolici. Gli islamisti radicali compensano i loro eccessi ideologici, presentandosi come partito d’ordine: il furto e il banditismo sono puniti con l’amputazione.
Il vessillo nero qaedista sventola ormai ai piedi delle falesie di Bandiangara e del paese dei Dogon. E Francia e Stati Uniti premono per un intervento armato degli stati dell’Africa Occidentale. L’operazione però non decolla. L’Onu preferisce una soluzione politica e posticipa l’eventuale intervento armato alla fine dell’estate 2013. Un buco nero, quello africano, che inghiotte stati falliti e simulacri di stati nazionali ispirati al modello europeo, collassati sotto la pressione di nuovi e antichissimi legami transnazionali.
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