Un arancione per Nichi

by Sergio Segio | 1 Dicembre 2012 10:00

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Ovviamente, dato il mio comportamento, ritengo di no e con queste brevi righe vorrei spiegare il perché a quei compagni che mi hanno criticato per la scelta di votare Vendola e che incontrerò raccolti al Teatro Vittoria in risposta all’appello «Cambiare si può», di cui sono stato uno dei primi firmatari. 
Da giurista lascio da parte l’argomento, che costituisce un assurdo costituzionale, secondo cui un elettore che vota alle primarie disporrebbe in modo irrevocabile della propria libertà  di voto alle elezioni politiche. Mi interessa invece brevemente ragionare di strategia e di tattica anti-tecnocratica. 
Credo si possa assumere come un dato politico che non richiede verifica il fatto che Nichi Vendola sia un compagno che come noi si batte genuinamente e onestamente contro il montismo (cosa che invece non è vera né di Bersani né di Renzi). Grazie a Vendola, che ha dato a Alberto Lucarelli e al sottoscritto il mandato di impugnare il decreto di Ferragosto, abbiamo ottenuto la sentenza 199 della Corte Costituzionale che è stata una delle poche vere sconfitte della tecnocrazia montiana in questi sciagurati mesi successivi al referendum del 2011.
Ovviamente, un presidente di regione è meno libero di un intellettuale e ciò è vero anche di un sindaco come De Magistris. La politica rappresentativa richiede mediazione per non trasformarsi in ozioso narcisismo e quella condotta da questi due compagni nella loro veste di pubblici amministratori è invero molto avanzata a tutela dei beni comuni, come dimostra fra l’altro la vera rivoluzione nel governo democratico dell’acqua che stiamo facendo a Napoli. Sul piano tattico non ho condiviso la scelta di Vendola di correre alle primarie e l’ho detto apertamente ma condividendone la strategia mi pare regola di buon senso che un compagno ne sostenga un altro anche quando non ne condivide la tattica. 
E’ un errore ritenersi depositari della verità . Nessuno può sapere ex ante se la propria tattica sia migliore di quella altrui e la solidarietà  fra compagni non può mai venir meno. Un Vendola forte nella coalizione può significare per esempio l’approvazione della riforma Rodotà  della proprietà  pubblica nei primi giorni della prossima legislatura, cosa che darebbe un qualche tipo di senso allo slogan «Italia bene comune» e grande soddisfazione ai movimenti. Soprattutto, un Vendola forte nella coalizione non fa alcun male a chi voglia presentarsi alle elezioni chiedendo voti a chi proprio non riesce a digerire i partiti (neppure Sel) ma non se la sente di votare M5S. 
Che fare adesso e soprattutto che fare dopo se, risolti i non pochi nodi politici e pratici che ci attendono per fare delle belle liste su tutto il territorio nazionale si dovesse riuscire a portare in parlamento un gruppetto di deputati e senatori «arancioni» (che sia detto con grande franchezza preferirei rossi!)? Anche qui voglio prendere una posizione che può non piacere ma che deriva dalla mia profonda critica dell’attuale strutturazione della democrazia rappresentativa borghese. In effetti, il mio cuore politico non batte per la rappresentanza ma per l’azione diretta dei bene-comunisti e per questo cerco di stare vicino a tutte le occupazioni e le prassi sovversive di un ordine sociale spietato e ingiusto.
Detto ciò mi parrebbe ovvio che gli eletti arancioni in parlamento debbano rappresentare in piena autonomia, «senza vincolo di mandato» la strategia complessiva antiliberista, ma che non avrebbe alcun senso votarsi preventivamente ad una scelta di opposizione preconcetta (mi pare questa sia pure la posizione di Luigi De Magistris) . Chi accetta la rappresentanza borghese lotta per fare le leggi e le leggi si cambiano con maggioranze parlamentari. Credo che un qualificato drappello di eletti bene-comunisti indipendenti dovrebbe avere proprio questo ruolo: costruire un fronte anti-tecnocratico che a seconda dei numeri potrebbe anche diventare decisivo per scongiurare un’alleanza del Pd con i moderati ed il Monti bis.
Il fronte anti-montiano, sfumata mi pare in concreto l’ipotesi numerica di un Cln antiliberista, potrebbe anche diventare maggioranza in parlamento se non in generale almeno su alcuni temi «decrescitisti» (penso al Tav) soprattutto perché non sappiamo nulla su quale sarà  domani la sociologia e l’antropologia dei molti eletti del M5S. La condivisione strategica declinata in molte diverse tattiche, laicamente rispettantesi l’un l’altra e solidali fra loro, potrebbe perfino aprire scenari inediti nella elezione del presidente della Repubblica. Perché precluderci tutto questo in nome di una purezza ideologica degna di miglior causa?

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