Tortura europea
Diciassette giudici della Corte europea dei diritti umani – in una storica decisione presa il 13 dicembre scorso dall’organismo istituito nel 1959 a Strasburgo nell’ambito della Convenzione europea per i diritti umani e le libertà fondamentali (1953) – hanno condannato la ex-Repubblica Yugoslava di Macedonia (Republika Makedonija) nel caso che la opponeva al cittadino tedesco Khaled El-Masri, rapito e torturato nel 2003 in Macedonia e poi in Afghanistan, e vittima, come centinaia d’altri dopo l’11 settembre 2011, del programma di rapimenti e torture (extraordinary renditions) di presunti terroristi messo in atto dall’Amministrazione statunitense sotto George Bush (2001-2008), ma non eliminato né condannato sotto Barak Obama.
Il caso – e la sua importanza per la sanzione non solo della Macedonia, ma anche delle stesse attività statunitensi in Europa – è stato descritto con precisione qualche giorno fa sulle colonne del manifesto, da Mauro Palma – matematico e sino al 2011 combattivo presidente di una delle poche istituzioni europee meritorie, il «Comitato del Consiglio d’Europa per la prevenzione della tortura e del trattamento o della punizione degradante e inumana» (dei prigionieri), o Cpt, istituito nel 2002 dall’omonima Convenzione europea. Rivelatosi un attivissimo ambito di controllo e denuncia delle condizioni di detenzione in Europa, il Cpt – nel suo rapporto 2006/2007 – aveva dichiarato che in nessuna circostanza le autorità europee di qualsiasi tipo avrebbero dovuto offrire aiuto e protezione alle attività connesse alle extraordinary renditions, in quanto pratiche totalmente contrarie al diritto internazionale (Convenzione Onu contro la tortura, entrata in vigore il 26 giungo 1987), nonché specificatamente europeo (Convenzioni del 1953 e del 2002).
Come è noto è avvenuto tutto il contrario, e governi, servizi segreti e settori delle forze armate dei Paesi europei (Consiglio d’Europa) hanno dato attiva copertura alle extraordinary renditions, sia fornendo aiuto investigativo e logistico ai torturatori, sia ospitando nei propri aeroporti (persino militari) aerei con a bordo persone rapite, detenute e torturate (Albania, Austria, Bosnia-Herzegovina, Repubblica Ceca, Cipro, Croazia, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Grecia, Irlanda, Islanda, Italia, Kosovo, Lituania, Macedonia, Malta, Norvegia, Polonia, Portogallo, Romania, Spagna, Svezia, Svizzera, Turchia, Ucraina, Ungheria). Lituania, Romania, Polonia e probabilmente Ucraina, hanno ospitato anche centri di detenzione e tortura.
Attività quasi sempre negate da quasi tutti i governi dei Paesi succitati – inclusa vergognosamente l’Italia “bipartisan” di Prodi e Berlusconi. Attività invece ampiamente documentate sin dal 2002/2003 da una comunità internazionale di ricercatori e giornalisti – incluso il manifesto e liberazione – che hanno rintracciato aerei, movimenti, piloti, vittime, centri di detenzione e tortura, nonché fornito i principali materiali per le prime circostanziate denunce. Denunce quali quelle contenute in numerosi rapporti di Ong statunitensi ed europee quali Human Rights Watch, Center for Constitutional Rights, ed Amnesty International (si veda ad esempio «Below the Radar», Amnesty 2006) e nelle inchieste ufficiali europee del 2006 e 2007.
La sentenza della Corte di Strasburgo è poi tanto più importante perché – nonostante qualche segnale positivo sia venuto dalla recente sentenza della magistratura italiana sul caso Abu Omar (commentata dal manifesto il 22 settembre scorso) – nulla si è davvero mosso nel panorama europeo in relazione all’accertamento delle complicità dei governi nelle extraordinary renditions, complicità provate oltre ogni ragionevole dubbio dai rapporti del Consiglio d’Europa (Dick Marty, giugno 2006 e giugno 2007) e del Parlamento europeo (Claudio Fava, 30 gennaio 2007), rapporti su cui si può leggere l’informata analisi di Francesca Restifo in «Le relazioni del Consiglio d’Europa e del Parlamento europeo sulle extraordinary renditions» (in «Diritti umani e costituzionalismo globale» a cura di Elena Paciotti, Carocci Ed. 2011).
Al contrario, una serie a dir poco vergognosa di inchieste fasulle ordinate da vari governi europei sotto accusa – dalla Gran Bretagna alla Svezia, dalla Danimarca alla Spagna e Portogallo, dalla Francia alla Grecia, alla Germania -hanno invariabilmente concluso, superando ogni senso del ridicolo, che «non ci risulta», «noi non c’eravamo e se c’eravamo dormivamo». Loro, i campioni delle lezioni di diritti umani a tutti i Paesi del mondo. Altre inchieste sono state, anche più vergognosamente, chiuse da interventi governativi o giudiziari prima che arrivassero a conclusioni imbarazzanti (vedi la Gran Bretagna e il quadro odierno sul sito www.amnesty.org/en/campaigns/security-with-human-rights).
Per non parlare poi degli altri Paesi europei che, come l’Italia, nemmeno hanno mai avviato alcuna inchiesta sulle decine e decine di voli di aerei delle extraordinary renditions ospitati nei loro aeroporti, di cui chi scrive aveva già dato documentazione precisa su queste colonne nel gennaio 2006. In Italia ad esempio – tra il 2001 e il 2005 – né i vari servizi segreti (impegnati prevalentemente nel dossieraggio di politici e generali), né la polizia di Stato, né le autorità aeroportuali, né quelle dell’aviazione civile che danno permessi di sorvolo e atterraggio si sono mai accorti di niente, nemmeno che quegli aerei sicuramente nel programma delle extraordinary renditions (anche se non sicuramente con a bordo prigionieri) sono atterrati decine di volte nei seguenti aeroporti: Bari Palese (Libd), Brindisi Casale (Libr), Cagliari/Elmas (Liee), Catania/Fontanarossa (Licc), Firenze/Peretola (Lirq), Genova/Sestri (Limj), Milano Linate (Liml), Milano Malpensa (Limc), Montichiari (Lipo), Napoli/Capodichino (Lirn), Olbia Costa Smeralda (Lieo), Palermo/Punta Raisi (Licj), Pisa San Giusto (Lirp), Roma/Ciampino (Lira), Rome Fiumicino (Lirf), Sigonella (Licz), Venezia/Tessera (Lipz) e Vicenza (Lipt).
Fatto è che l’ipocrisia europea, la falsità totale dei governi interessati, ha aiutato gli Stati Uniti a precipitare nel baratro che l’uso della tortura genera. Non solo il degrado morale, non solo l’unificazione alla barbarie dei torturatori dei regimi dittatoriali e dei Taliban, ma l’istituzione di un corso pericolosissimo per gli stessi Paesi che adottano o condonano la tortura: false confessioni che creano altre false confessioni e false piste, migliaia di innocenti coinvolti, infine l’istituzione di un circolo vizioso che si rivolgerà presto contro chi lo inizia. Infatti, quando – mentendo – l’Amministrazione statunitense ha affermato che certe sue precise pratiche di interrogatorio e il trattamento dei prigionieri a Guantanamo, a Kabul e in altre località non violavano l’articolo 3 (comune) della Convenzione di Ginevra sul trattamento dei prigionieri di guerra – articolo che proibisce non solo la tortura , ma anche il trattamento crudele e la mutilazione dei prigionieri – ha di fatto autorizzato tutti gli altri Paesi ad inserire quelle pratiche nel trattamento dei prigionieri statunitensi.
Purtroppo, negli Stati Uniti, l’intelligenza politica è merce scarsissima, ne sia prova il recente film Zero Dark Thirty che racconta la versione statunitense della cattura ed uccisione di Bin Laden e fa intendere senza alcuna prova che con la tortura si erano ottenute utili indicazioni per arrivare a Bin Laden. Tanta l’idiozia di questo assunto che i senatori Carl Levin (presidente Democratico del comitato del Senato sulle forze armate), Dianne Feinstein (presidentessa Democratica del comitato del Senato sui servizi segreti) e John McCain (membro Repubblicano del comitato del Senato sulle forze armate) si sono sentiti in dovere di inviare una lettera congiunta al presidente della Sony (che produce il film) in cui, tra altro, si afferma: «Indipendentemente dal messaggio che i registi hanno voluto veicolare, il film chiaramente implica che le tecniche di interrogatorio coercitivo della Cia sono state efficaci nell’estrarre importanti informazioni» (che hanno portato all’uccisione di Bin Laden). «Noi abbiamo visionato i records della Cia e sappiamo che questo è incorretto… Noi crediamo che tu abbia l’obbligo di mostrare che il ruolo della tortura nella caccia a Bin Laden non è basato su alcun fatto».
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